Nid 2023, la New Italian Dance Platform è tornata in scena per la settima volta nella sua storia a Cagliari, titolo Fluidity, danza come «flusso di contatti, emozioni, per un performer che perde la sua forma originale per trasformarsi in qualcosa di sfuggente e unico». Diciassette proposte in tutto tra open studios e spettacoli compiuti.

PROGETTO e missione di per sé encomiabili: una selezione rappresentativa tra realtà già consolidate ed emergenti della scena italiana, un format ideato dagli operatori riuniti nella sigla Rto, volto a rinnovare l’attuale mercato italiano del settore e a diffondere all’estero la nostra danza. Un investimento per il 2023 di 590.000 euro tra Ministero della Cultura, Regione autonoma della Sardegna, Comune di Cagliari, Fondazione Banco di Sardegna, partner capofila e organizzatore l’associazione Enti Locali per le attività culturali e di spettacolo con la realizzazione del circuito sardo Cedac.

Gli open studios sono una scommessa. Si esamina un progetto in divenire, di cui si assaggia qualcosa di più o meno sostanzioso soltanto al momento della piattaforma in essere. Una carrellata tra proposte capaci nel rivelare un potenziale e abbozzi acerbi di ricerca. Come Plein air di Marina Donatone sul tocco, un momento da vivere, spiega l’autrice al pubblico, come se si entrasse in sala prove, esperienza che dal palcoscenico ampio del Teatro Massimo non è riuscita a svelare una visione. Nonostante la collaborazione con tre drammaturghi, anche Cancan di Fabritia D’Intino è ancora lontano dal far emergere nei corpi quello spaesamento a un consumo voyeuristico di cui le premesse scritte parlano. Accade anche in altri titoli.

«Shoes on» di Luna Cenere, foto di Agostino Mela e Sara Deidda Macleod

Tra gli open più efficaci da un punto di vista compositivo, emerge Decisione consapevole di Roberto Tedesco: parte da una mappa di quattro parole chiave, isolamento, comunicazione, intimità e comunità. Il pezzo punta a svilupparsi in un quartetto (proiettato in video), in scena Laila Lovino concentra il movimento sulla parola «isolamento» interprete di una scelta battente nella gestualità e nel ritmo. La proiezione in video mostra come, se la produzione proseguirà, le quattro parole creeranno nello spazio intersezioni di qualità energetiche e dinamiche differenti.

EVIDENTE potenziale in Danze americane di e con Fabrizio Favale, un ritorno per l’artista 53enne alla forma dell’assolo, inizio di un viaggio nella memoria corporea e nella sua trasformazione nel tempo nutrito dalle esperienze dell’autore nelle tecniche di Merce Cunningham, José Limón, Trisha Brown. La scrittura si snoda per sequenze giocate su differenti inclinazioni delle parti del corpo, sfumature della gestione del respiro, delle linee e della relazione con lo spazio e la forma. Bello.

Anche negli otto spettacoli principali, scelte di valore oscillante. Discutibile l’approccio alla disabilità di Brave di Paola Bianchi con Valentina Bravetti. Mai va scordato che in questo campo, e proprio nel rispetto totale degli artisti con disabilità, la condiscendenza di per sé non porta a nulla.

Esistono lavori straordinari nella valorizzazione del tema, pensiamo ai CandoCo, a Claire Cunningham, in Italia ad artisti come Chiara Bersani, Giuseppe Comuniello, Aristide Rontini… Una carrozzella vuota in scena, la coreografa/danzatrice «abile» a terra come l’artista diversamente abile che non può alzarsi sulle proprie gambe, finale con il pubblico chiamato a buttarsi in scena a ballare gioiosamente seduto, ascoltando Raffaella Carrà. È questa la condivisione di cui parlare?

Tempi dilatatissimi fatti digerire in bella confezione con rimandi musicali da Glass a Hair per Greta on the beach (titolo che flirta con il capolavoro wilsoniano Einstein on the beach) di Francesca Foscarini, un pezzo in cui scorre la volontà di mettere in scena il vuoto dell’oggi, che trarrebbe però vantaggio e più comunicabilità da una sintesi temporale. I temi scomodi entrano del resto con potenza nell’immaginario artistico: l’assolo autobiografico Nobody Nobody Nobody di Daniele Ninarello scaturisce da un vissuto esperito di bullismo e violenza sul quale l’artista conduce un importante lavoro con le scuole.

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SULLA DANZA pura due i titoli più pregnanti: Shoes On di Luna Cenere, e Pas de deux, del Collettivo Giulio e Jari. Entrambi duetti. Cenere, artista che da anni prosegue con rigore nella lucida esplorazione scultorea e dinamica del corpo nudo, in Shoes On vira con bella mano verso un coté ironico nuovo e da seguire. Il Collettivo Giulio e Jari chiude la Nid con la semplicità di un titolo in realtà foriero di un’indagine sul movimento e sulla relazione tra i corpi di sottilissima qualità nell’espandersi di una linea fluida e intrecciata, mossa da ipnotiche spinte centrifughe e centripete.

Ci sarebbe piaciuto vedere qualcosa dal vivo della danza sarda, presente tuttavia in un interessante panel. Certo sono tanti gli artisti scartati dalla selezione. Alla call pubblica hanno partecipato in 168 e se Roberto Castello, generazione dei «fratelli maggiori» della danza italiana, con il suo dirompente Inferno è tra i 17 prescelti come Michele Di Stefano e lo storico Balletto di Roma, mancano i Sieni, i Cosimi, ma anche i più giovani Simona Bertozzi, Marco D’Agostin, la lista degli artisti rappresentativi in call è lunga. Forse un ripensamento dei criteri di scelta può portare più dinamicità al rapporto tra la ricerca con le sue fragilità e la densità di una scrittura coreografica matura.