Aprile, in Venezuela, è il più crudele dei mesi, si potrebbe dire parafrasando il titolo di un celebre noir di Derek Raymond. Aprile, però, è anche mese di rimonta e riscossa. E così, i chavisti, hanno coniato lo slogan: «ogni 11 porta il suo 13». Il riferimento è al colpo di stato intentato contro l’allora presidente Hugo Chavez, l’11 aprile del 2002. Un golpe a guida Cia che portò al potere il capo della locale Confindustria, Pedro Carmona Estanga: detto «Carmona il Breve» perché la popolazione infuriata lo lasciò governare solo due giorni, prima di riportare al suo posto il presidente che aveva eletto. Il 14 aprile di 2 anni fa, dopo la morte di Chavez (il 5 marzo), fu laureato dalle urne l’attuale capo di stato Nicolas Maduro: con un margine certo, ma scarso sul rappresentante della destra, Henrique Capriles. Il giorno dopo, quest’ultimo – reduce da due sconfitte subite in cinque mesi, prima contro Chavez poi contro Maduro – chiamò le piazze «a sfogare l’incazzatura». Violenze e devastazioni provocarono la morte di 9 chavisti.

Per ricordare l’aprile della riscossa, le organizzazioni popolari hanno costruito la bandiera più lunga della storia del Venezuela, 1.200 metri. Dal 10 all’11, si è svolto il VII vertice delle Americhe, che ha visto il Venezuela in primo piano. Maduro ha consegnato a Obama 14 milioni di firme, e ha proclamato il 9 marzo «giorno dell’antimperialismo bolivariano». In quella data, il presidente Usa ha emesso un decreto di sanzioni contro Caracas, definendo il Venezuela «una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza nazionale degli Stati uniti». La raccolta di firme, prolungata fino alla fine di aprile, ha costituito un forte coagulo nella società venezuelana e ha visto anche il consenso di una parte dell’opposizione. Il 19 sarà la «giornata mondiale della solidarietà con la rivoluzione bolivariana». Entrambi gli schieramenti politici – Psuv e suoi alleati, e Mud – si preparano alle reciproche primarie, in vista delle cruciali elezioni che si terranno a dicembre. La Mesa de la unidad democratica è attraversata da forti conflitti interni e da accuse di brogli e verticismo provenienti dalle proprie fila, poiché ha deciso di blindare alcuni collegi e di non sottoporli a votazione.

Maduro, che a Panama ha intascato il consenso di tutti e 33 paesi presenti tranne Usa e Canada è tornato in patria deciso ad «approfondire la rivoluzione»: per disinnescare le critiche delle sue ali più radicali che, come Marea socialista, stanno raccogliendo lo scontento da sinistra. «Il conflitto in Venezuela è un conflitto per l’egemonia tra la fazione neoliberista-proimperialista (Lopez, Capriles) e quella socialdemocratica (Maduro, Cabello) della classe politica nazionale per il controllo dei ricavi delle rendita petrolifera», scrive il politologo Heinz Dietrich – un tempo vicino a Chavez, ora considerato un guastatore.

Intanto, continua la battaglia contro «la guerra economica» e la fuga di capitali all’estero e il mercato nero del dollaro. Nonostante le difficoltà insorte dopo il crollo dei prezzi del petrolio, il bilancio destinato ai progetti sociali non è stato toccato. I salari e le pensioni sono stati aumentati, i prezzi rimangono calmierati. La Fao ha riconosciuto un’altra volta i risultati raggiunti dal chavismo nella lotta contro la fame, che situano il paese nella fascia più bassa delle statistiche in America latina. E ha conferito a Maduro un nuovo riconoscimento. Il Venezuela – dove il 94% delle persone mangia almeno 3 volte al giorno – è anche il paese con meno disuguaglianze sociali del continente.

Ma intanto continua l’attacco mediatico e politico delle destre, dall’Europa all’America latina. Una ventina di ex presidenti ha firmato un documento contro Maduro, presentato al vertice di Panama. Ieri è scoppiata una crisi diplomatica tra Caracas e Madrid. Il governo spagnolo ha presentato una nota di protesta formale contro quello venezuelano per le «offese» rivolte da Maduro al premier Mariano Rajoy, definito «razzista» e accusato di «essere dietro tutte le manovre contro il Venezuela». Maduro ha reagito così dopo che il parlamento di Madrid ha approvato una mozione per la liberazione dei golpisti, arrestati dopo le violenze dell’opposizione oltranzista, scoppiate l’anno scorso.