Centosettanta romanzi, novanta autori (circa un terzo donne), romanzieri ma anche giornalisti, esploratori, coloni, scrittori-soldato. Almeno settanta case editrici, soprattutto del Nord (Milano, Torino, Genova) ma sparse in tutta Italia e anche nelle colonie. Il panorama del romanzo coloniale nella sua fase di massima espansione è molto variegato.

LO RICOSTRUISCE Francesco Casales nel suo Raccontare l’Oltremare. Storia del romanzo coloniale italiano (1913-1943) (Le Monnier, 26 euro, pp. 328), una sorta di summa di vita morte e miracoli del romanzo italiano ambientato nelle colonie. L’autore si concentra sui romanzi, riconoscendo però l’importanza di altri tipi di libri come i reportage di viaggio e quelli scritti da missionari – il campo di studi è definito con precisione e accademica abnegazione nell’introduzione.

È probabile che il lettore non nostalgico dei brutti tempi andati o studioso di colonialismo italiano non sappia citare anche solo un romanzo coloniale. Non molto rimane infatti, fuori da circoli ristretti, delle opere di Guelfo Civinini, Arnaldo Cipolla, Guido Milanesi, Mario Dei Gaslini, Vittorio Tedesco Zammarano, Mario Appelius, Nonno Ebe, Orio Vergani, e persino di quella Leda Rafanelli che nella vita è stata tantissime cose (anarchica, vicina al sufismo, futurista, intima di Mussolini) e ha scritto L’oasi. Romanzo arabo (1929), un romanzo al contempo coloniale (per ambientazioni e struttura) e antimperialista per temi e idee.

Questo anche perché i romanzi coloniali non sopravvissero alla fine del colonialismo, essenzialmente per due motivi. Se è vero che furono diverse cose (strumenti di propaganda, educativi/pedagogici, oggetti narrativi quasi sempre mediocri) non furono sicuramente prodotti editoriali di successo. Non vendono molto infatti, e da questo punto di vista possono essere considerati un fallimento («un’operazione di mercato – fallimentare certo, ma non per questo meno complessa e strutturata»), a differenza di quanto succede con i romanzi coloniali francesi o soprattutto inglesi, regolarmente tradotti anche in Italia dove ebbero una buona circolazione.

TROVIAMO PERÒ i romanzi coloniali italiani in istituti, scuole, biblioteche, raggiungendo quindi se non un loro pubblico sicuramente una loro collocazione: Casales ipotizza quindi che gli editori non puntarono a «un pubblico di lettori, ma a uno di acquirenti».

L’altro motivo della non sopravvivenza è che il romanzo coloniale fu un «fenomeno parassitario», necessitando di un «sistema politico-sociale specifico e connotato per sopravvivere». In altre parole, venuto meno il fascismo che si occupa di finanziare queste opere, di fare concorsi a loro dedicati, di promuoverli, di questi romanzi non rimane molto. Pochi sono ristampati nel dopoguerra, e solo negli ultimi anni abbiamo assistito a operazioni di recupero di senso opposto: nostalgico-coloniale, pubblicati da case editrici vicine all’estrema destra, di critica e analisi, come l’edizione di XX battaglione eritreo di Indro Montalli a cura di Angelo Del Boca.

Sicuramente però, insieme a film, esposizioni, cinegiornali, arti visive, anche questi romanzi contribuiscono alla creazione di quell’immaginario e coscienza coloniale che influenzò e strutturò la vita degli italiani per decenni, e i cui effetti arrivano fino a oggi. Inoltre, le storie e i temi che troviamo in questi testi sono comuni a altri media, cinema in primis: l’insabbiamento, il mondo perduto, le guerre coloniali, la costruzione dell’immaginario del maschio bianco dominante che influenza e costruisce non solo le colonie ma anche la stessa Italia.

CASALES FA ESATTAMENTE quello che si deve fare in una buona ricerca: scegliere un tema, in questo caso sicuramente già studiato ma mai in modo così sistematico; individuare le proprie fonti primarie e costruire un corpus, sparso in mille rivoli e luoghi e con informazioni spesso poco reperibili; analizzarlo per capire le linee principali e i temi che emergono; studiarne il contesto. Il risultato è un libro molto colto – in alcuni passaggi forse quasi troppo – e che diventerà sicuramente un punto di riferimento per gli studi sul tema, ma che è interessante e utile anche fuori dall’accademia.