Ci sono performer che ad ogni incontro con il pubblico, sia da interpreti che da interpreti-autori offrono un tocco speciale, una luminosità nell’azione pur ricca di chiaro-scuri. Paola Lattanzi, danzatrice per molti anni di Enzo Cosimi, nonché autrice indipendente, non ha mai tradito questa aspettativa. Il suo graffio in titoli del coreografo romano come in Sopra di me il diluvio del 2014, non perde nettezza nella memoria a distanza, un esserci nelle cose che l’artista conferma anche nei pezzi di cui è autrice.

COSÌ È nel suo Crying out loud. A doll’s house, andato in scena al teatro Elfo Puccini nella 35a edizione del festival MilanOltre, un assolo denso nella qualità del linguaggio e nel rapporto con la scena. Prodotto originariamente dalla DanceHaus più di Milano prima della pandemia, Crying out loud. A doll’s house ha raggiunto oggi la sua forma matura. Prende spunto con libertà dalla figura di Nora, la protagonista di Casa di bambola di Ibsen.
Lattanzi: «Avevo voglia di giocare con quel personaggio ribelle, moderna Antigone, che sceglie di escludersi, sottrarsi. La casa, simbolo di un dentro dal quale scappare e dove rifugiarsi, è metafora del corpo». Ed è infatti il corpo teso dell’autrice-interprete, in relazione con tre cubi neri, che si fa messaggero di un percorso trasformista dentro le viscere del sé: è una scrittura che alterna introiezione e estroversione del gesto muovendosi tra gli oggetti/cubo, una sorta di casa matriosca a tre misure da cui sembra impossibile scappare.
Lattanzi entra in scena camminando sinuosamente a quattro zampe, chioma scompigliata, volto nascosto da una calza nera come lo sono guanti, scarpe e tuta aderente. La camminata a terra la porta in piedi con linguaggio articolato, un coltello viene estratto, il torso si fa nudo, il volto si rivela. I tre oggetti-casa vengono spostati, assumono altre forme in cui nascondersi o apparire, mentre la musica è un sordo respiro che si apre al lamento, alla voce, al canto. Le luci ritagliano lo spazio per colori.

DA UN CUBO escono oggetti: una bellissima corona di aculei si fa metafora di quello stesso corpo tagliente, appuntito, nervoso come il gesto e come il moto. Lattanzi firma un assolo che nell’affondo crudo del linguaggio ha qualcosa di iconico. Nessun movimento si compiace di se stesso, dura la sua necessità. Un assolo che merita di girare come esempio italiano di scrittura contemporanea. A MilanOltre Lattanzi è andata in scena nell’ambito della seguita sezione Affollate Solitudini, che ha avuto tra i molti ospiti anche Davide Valrosso, Stefania Ballone, Chiara Ameglio, Daniele Ninarello.
Il festival, dedicato quest’anno alla memoria del coreografo Ismael Ivo, chiude domenica. In programma questa settimana molti titoli non in solitaria: Bygones dei canadesi David Raymond e Tiffany Tregarthen, l’esilarante Graces di Silvia Gribaudi, al festival anche con il nuovissimo Monjour, Party Girl di Francesco Marilungo, l’ultima produzione di Roberto Zappalà, Danzare Bach.