Giornata tipo di madre divorziata, insegnate, con figlio quasi dodicenne in appartamento di una cinquantina scarsa di metri quadri o Una giornata tutta per sé
Ore 7.00 sveglia
Doccia. Caffè. Sistemazione dei materiali per la lezione delle 9 o correzione dei compiti. Faccio il tè, preparo le tartine e la spremuta d’arancia
Ore 8.15 primo tentativo – fallito – di svegliare mio figlio Y. di quasi 12 anni. Voce dolce, buona disposizione.
«La colazione è pronta!»
Ore 8.30 secondo tentativo – fallito ancora – di svegliare mio figlio Y. di quasi 12 anni. Voce più determinata:
«Il tè fredda…, alle 9 io comincio la videolezione….»
Ore 8.45 terzo disperato tentativo di svegliare mio figlio Y. di quasi 12 anni che la sera non riesce ad andare a dormire prima di mezzanotte… alzo la voce, minaccio. Nessuna risposta, nessun movimento. Accendo tutte le luci. Salgo la scaletta del suo letto in alto. Butto a terra il piumino. Niente. Non ho tempo per insistere
Ore 9.00 inizio della mia videolezione: mezz’ora trascorre nell’appello… gli studenti arrivano alla spicciolata. Telecamere spente, microfoni inceppati, la linea salta. Ho dimenticato di dare da mangiare al gatto che salta sul tavolo rovescia la lampada e invade lo schermo
Ore 10,00 mio figlio dovrebbe cominciare le sue videolezioni, ma è sveglio (si fa per dire) da cinque minuti: non ha fatto colazione perché il tè è freddo e pure le tartine e poi odia la spremuta d’arancia. Lo sento armeggiare con i quaderni. Lo sento urlare buongiorno per 5 volte alla prof che non risponde. Non è sorda, ma evidentemente ritiene che non sia necessario. Mio figlio entra nella stanza dove faccio videolezione, urla che non è possibile, non capisce perché la prof non risponda. Vuole chiudere il collegamento e scioperare. Io mi scuso con i miei studenti, interrompo il mio e cerco di calmarlo.
Ore 11 lavo i piatti della colazione e mi vesto per andare a fare la spesa. La stampante si è rotta e devo compilare una parte dell’autorizzazione a mano ogni volta. Dopo mezz’ora sono fuori munita di guanti, mascherina, gel disinfettante, autorizzazione. Abbigliamento comodo (da circa 40 giorni).
Ore 12.30: rientro. Ma sulla soglia di casa. Tolgo le scarpe che lascio fuori, insieme ai pacchetti, tolgo la giacca, i guanti, vado in cucina e mi lavo le mani con acqua bollente per i due minuti di rito. Tolgo la mascherina. Vorrei cambiarmi ma mio figlio fa capolino e mi intima che non posso passare (per andare in bagno devo passare dalla sua camera) faccio troppo rumore, il prof interroga e si scoccia se i genitori si intrufolano (!). Mi domando quanto tempo sono stati fuori i pacchetti, sarà sufficiente? o devo passarli in candeggina?
Ore 13.00: comincio a cucinare. Mio figlio «è uscito» da scuola.
«Mamma che si mangia?»
«Come non lo sai? Non è ancora pronto…!!!??? Ma io ho FAMISSIMA….»
Ore 13.40: pranzo.
Ore 14.00: lavo i piatti, sistemo la cucina, sistemo la spesa. Approfitto del sole per fare due lavatrici.
Ore 15.00: mentre stendo i panni sulla piccola terrazza condominiale, mi ricordo che volevo leggere un tal brano di un tal libro. Rientro, prima però devo preparare le lezioni e correggere i compiti. Sollecitare gli studenti inerti, inviare i file, registrare, …
Ore 16: sono ancora al computer, è tutto online: dieci, venti, trenta commenti, riassunti, relazioni. Ho la congiuntivite. Dopo la visita a tre farmacie, tre rimedi e un consiglio però unanime: passare poco tempo al computer, il mio occhio destro ancora non è guarito. Mio figlio suona il piano, è un passo difficile. Dopo poco decido di rifugiarmi in bagno. Non passano due minuti che sento bussare alla porta:
«Mamma, che fai?»
«Mamma, ma non mi vuoi sentire mentre suono?»
«Mamma, guarda che devo fare anche una ricerca sugli eurobond…, non ho capito… me li devi spiegare…»
Ore 17.00: per spiegare gli eurobond li devo prima capire io. Studio, studio, ma non sono sicura di avere capito bene… Mio figlio mi dice che ha un’altra ricerca da fare e un esperimento di scienze… ma che prima vuole giocare un po’ con la Nintendo. Segue lunga ed estenuante contrattazione.
Ore 18.00: Prendo in mano il libro. Arriva mio figlio:
«Mamma, hai dimenticato la merenda…».
Ogni tentativo di farlo desistere dalla sua richiesta, considerata l’ora, è vano. Dopo la merenda devo dare da mangiare al gatto. Il gatto però continua a miagolare. Ah, ecco, dovevo pulire la sua lettiera, non me n’ero accorta. Fuori il cielo minaccia pioggia, ritiro i panni ancora umidi che appoggio qui e là, tappezzando le due stanze.
Ore 18.30: Comincio a pensare alla cena, perché noi ceniamo presto. Ma devo pulire le due stanze perché prima non ho fatto in tempo: spazzo, do lo straccio per terra con un detersivo igienizzante. Mi metto a pulire le verdure – perché è importante continuare a fare pasti sani, vari ed equilibrati.
Ore 20.00: Ceniamo. Lavo i piatti, sistemo la cucina. Mi mancano ancora dei compiti da correggere. E ancora non ho letto quello che volevo leggere (ah, sì… ma che cos’era???) Mio figlio però vuole vedere un film.
«Hai finito i compiti?»
Mi risponde di sì, però non trova più gli occhiali. Cerchiamo invano gli occhiali sotto i panni sparsi, i quaderni, i libri, miei e suoi.
Ore 21.30: primo tentativo – fallito – di mandare a letto mio figlio Y. di quasi 12 anni. Voce dolce, buona disposizione.
«Puoi stare a letto e leggere un buon libro, no?!»
Ore 22.30 secondo tentativo – fallito ancora – di mandare a letto mio figlio Y. di quasi 12 anni. Voce più determinata.
«Domattina non riuscirai ad alzarti e sarai stanco morto… io alle 9 comincio la videolezione…»
Ore 23.30 terzo disperato tentativo di mandare a letto mio figlio Y. di quasi 12 anni: cerco nel repertorio di tutte le punizioni possibili. Minaccio, alzo la voce. Mi sento una madre inetta e priva di autorità. Sono io che voglio andare a letto e dormire, per non pensare e perché ho mal di schiena. Ma non ho sonno.
Ore 23.45: Mio figlio è a letto con un album da disegno e tutto l’armamentario di penne, matite e pennarelli. Mi chiama, ha fame.
«Abbiamo mangiato troppo presto… si può avere latte e biscotti?»
Ore 24.00: Ho spento anche la mia luce. Forse così si addormenta prima. Però passa ancora una buona mezz’ora. Perché voglio essere sicura.
Allora mi alzo, mi metto alla scrivania e prendo finalmente il mio libro.
*
Annalisa Comes, vive a Roma dove insegna e traduce. Dopo una formazione in filologia romanza e italiana e una specializzazione in giornalismo e comunicazione, nel 2020 ha concluso un dottorato di ricerca con una tesi sulla poesia per bambini in Italia dal 1945 a oggi. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie, in Italia e in Francia, saggi e biografie.