Nel Paese dei puri tradizione e ortodossia religiosa sono i nemici delle donne
L’anno scorso, in occasione dell’8 marzo, il magazine del quotidiano Dawn – un giornale progressista pachistano – pubblicava un’inchiesta sulla condizione femminile nel Paese che iniziava così: «Trent’anni fa non […]
L’anno scorso, in occasione dell’8 marzo, il magazine del quotidiano Dawn – un giornale progressista pachistano – pubblicava un’inchiesta sulla condizione femminile nel Paese che iniziava così: «Trent’anni fa non […]
L’anno scorso, in occasione dell’8 marzo, il magazine del quotidiano Dawn – un giornale progressista pachistano – pubblicava un’inchiesta sulla condizione femminile nel Paese che iniziava così: «Trent’anni fa non erano necessari argomenti ideologici per identificare i mali che opprimevano le donne o per sostenere che la religione le ostacolava… (ma) un’ortodossia resuscitata è stata incoraggiata a negare i loro diritti, che erano stati accettati dopo cento anni di marcia della società musulmana verso riforme liberali… Non è un caso che la prima pagina del rapporto della Commissione sullo status delle donne, cerchi di assolvere la donna dall’accusa di spingere Adamo fuori dal paradiso!…».
L’articolo dava dunque conto di due cose: la prima è che il Pakistan, nato come «paese per i musulmani» ma con una Costituzione laica, aveva riscoperto un’ortodossia che la nascita del Paese dei puri non aveva utilizzato per creare il nuovo Stato nato dalle ceneri del Raj britannico nel 1947. Il Paese aveva dunque fatto un passo indietro. La seconda però era che, nel citare la Commission on the Status of Women dell’Onu, si certificava il fatto che il Pakistan teneva ormai conto – anche se spesso disattendendole – delle nuove regole che anche in quel Paese hanno preso forma. Grazie a un vasto movimento della società civile che preme sulla politica e l’apparato legislativo e che si muove quando una donna è oggetto di violenza. Non sempre, ma assai più di prima
I nemici delle donne pachistane sono dunque la tradizione, che in tutti i Paesi del mondo è maschile, e questa rinata ortodossia religiosa il cui processo di riaffermazione, alimentato dal generale dittatore Zia ul Haq, è iniziato negli anni Ottanta del secolo scorso ed è stato in seguito utilizzato a fini politici dai diversi partiti locali, persino quelli – come il Partito popolare di Benazir Bhutto – di ispirazione laica. Allevare la pianticella dell’ortodossia significherà non solo far crescere la pianta del terrorismo jihadista, ma coccolare il mostro che vuole ancora la donna colpevole della cacciata di Adamo dal Paradiso.
«La violenza contro donne e ragazze – tra cui stupri, omicidi “d’onore”, attacchi con l’acido, violenza domestica e matrimoni forzati – rimangono un problema serio», scrive un rapporto di Human Rights Watch: gli attivisti pachistani stimano ad esempio che ci siano circa mille delitti d’onore ogni anno.
Nel giugno 2017, una jirga (consiglio tribale) della provincia occidentale ha ordinato l’uccisione «d’onore» di Naghma, una ragazza di 13 anni colpevole di… accompagnarsi con uomini. Nel luglio del 2016 Fouzia Azeem, più nota al grande pubblico come Qandeel Baloch – una ragazza di 26 anni diventata un idolo in Pakistan per le sue performance video, le interviste scioccanti, il modo di esporre il suo corpo, le continue provocazioni – è stata uccisa da suo fratello Waseem, reo confresso: l’ha prima drogata e poi strangolata nel sonno nella casa dei genitori a Multan. Non sono casi isolati.
La legge sul delitto d’onore, tuttora in vigore, è comunque un caso che continua a far discutere e su cui c’è spesso battaglia: è stata riformata più volte e nel 2004, su pressione internazionale e interna, il Pakistan ha promulgato una legge che ha reso questi delitti punibili con una detenzione… di sette anni (anche se è prevista la pena di morte nei casi più efferati).
La legge è molto criticata perché i movimenti femminili non solo ne contestano l’esistenza stessa, ma sanno che è spesso possibile per gli assassini riacquistare la libertà pagando un risarcimento ai parenti delle vittime. Nel 2005 il parlamento pachistano ha respinto una proposta di legge che mirava a rafforzare la legge contro la pratica del delitto d’onore dichiarandola «non islamica», anche se poi nel 2006 è stata approvata in Senato. Nel 2016, è stata abrogata la norma che permetteva agli assassini per onore di evitare la punizione chiedendo perdono. La battaglia va avanti e in molti casi le corti provinciali applicano la legge in modo assai diverso. C’è tolleranza ma anche il suo contrario: nel gennaio scorso una donna è stata condannata a morte per aver ucciso sua figlia bruciandola viva, poiché aveva la colpa di aver svergognato la famiglia sposandosi con un uomo diverso da quello indicato.
Non è l’unico problema: il matrimonio tra bambini è ancora una realtà, col 21% delle ragazze pachistane – sostiene Unicef – che si sposano prima della maggiore età (una pratica che è molto diffusa anche in India e in Afghanistan.) I bambini e le bambine per altro pagano pure il prezzo degli attentati terroristici nelle scuole e a volte vengono anche utilizzati come martiri kamikaze. Oltre cinque milioni di bambini in età scolare, infine, non vanno a scuola e la maggior parte di loro sono femmine. Human Rights Watch sostiene che l’abbandono scolare è legato non solo alla discriminazione di genere e al tipo di educazione famigliare, ma anche alla mancanza di scuole e ai costi associati allo studio. L’economia ineguale finisce col dare una mano alla tradizione più oscurantista. Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali ha invitato il Pakistan ad approvare una Dichiarazione sulle scuole sicure, che propone misure per proteggerle dagli attacchi e dall’uso militare in caso di conflitto. Ma la Dichiarazione non è ancora stata sottoscritta.
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