Il Viminale ieri ha diffuso una nota in cui si afferma che «la Libia può e deve soccorrere gli immigrati in mare» perché è «un paese affidabile». A certificarlo sarebbe la Commissione europea. La prova, secondo il ministero dell’Interno, è nel fatto che «la Libia ha ratificato la Convenzione di Amburgo del 1979 e quindi rientra nel piano globale Sar gestito dall’Organizzazione marittima internazionale, l’Imo». Ma la portavoce di Sea Watch Italia, Giorgia Linardi, obietta: «Ciò che sta accadendo nel Mediterraneo centrale verrà riconosciuto storicamente come una violazione massiva dei diritti umani».

Il recepimento della zona Sar libica da parte dell’Imo, che è un’agenzia Onu, attesta anche la tutela delle persone salvate?

L’Imo non si occupa di diritti umani, come fanno altre agenzie Onu come l’Ohchr o l’Unhcr. In astratto, Tripoli potrebbe coordinare i soccorsi senza imporre lo sbarco sul proprio territorio ma così cadrebbe la finzione dei porti chiusi. Per altro, ai libici non interessa occuparsi del salvataggio dei migranti, ma è quanto chiede loro l’Europa fornendo mezzi, risorse e formazione. Inevitabilmente, i loro sono soccorsi anomali perché la gente ripescata preferirebbe morire piuttosto che essere riportata indietro, nei lager.

La Commissione europea ha replicato al Viminale specificando che non considera i porti libici sicuri. Però l’Ue ha anche confermato il sostegno alla Guardia costiera di Tripoli.

La sofferenza delle persone intrappolate in Libia non è obiettivo delle politiche in atto, ma queste contribuiscono ad alimentarla. Non solo stiamo lasciando che accada, ma ci stiamo attivamente impegnando perché le persone che fuggono vengano intercettate in mare e riportate in Libia. Questa tragedia si sta consumando nella muta e cosciente astensione di tutti noi dalla richiesta intransigente di un intervento risolutivo urgente. Accettiamo che si neghi l’umanità di persone colpevoli di essere nate dalla sponda sbagliata del Mediterraneo.

Salvini ha definito «pirati» i naufraghi a bordo del mercantile El Hiblu 1, che hanno rifiutato di farsi riportare in Libia.

È un linguaggio violento che non credo abbia base giuridica visto che non c’è stato un assalto al mercantile da parte di un’altra nave. Si tratta di persone soccorse perché in difficoltà, riportarle indietro significa violare le norme in materia, che prevedono lo sbarco nel porto sicuro più vicino. E la Libia non ha porti sicuri. Il dirottamento è un gesto estremo ma deriva dal mancato rispetto a monte del diritto internazionale. È legittimo resistere alla violazione dei propri diritti.

Negli eventi Sar si stanno moltiplicando le anomalie.

Il nostro ultimo salvataggio, terminato con lo sbarco a Catania il 31 gennaio, ne è la prova. Per 12 giorni nessun Centro di coordinamento si è assunto la responsabilità delle operazioni, siamo rimasti da soli a vagare nel Mediterraneo fino a quando il maltempo ha obbligato il capitano a dichiarare lo stato di necessità ed entrare nel più vicino porto, Siracusa. La Capitaneria ci ha assegnato un posto in rada, dove siamo rimasti bloccati sei giorni. Il risultato è che la procura di Roma ipotizza il reato di sequestro di persona a danno dei naufraghi mentre noi, allora, abbiamo fatto ricorso d’urgenza alla Corte europea dei Diritti umani, che ha riconosciuto l’Italia responsabile di trattamento inumano e degradante dei migranti e della privazione della loro libertà personali. Non ha imposto lo sbarco, atto che avrebbe avuto conseguenze politiche fortissime, ma ha chiesto al governo: esiste un provvedimento di chiusura porti? E se sì per quanto tempo e perché?

Siete in mare adesso?

La nave è a Marsiglia per manutenzione. L’accanita attenzione sulle Ong ha prodotto la richiesta da parte del nostro paese di bandiera, l’Olanda, di maggiori standard di sicurezza per poter ospitare più persone per periodi più lunghi. Ennesima anomalia: non siamo una nave da crociera, le norme impongono di sbarcare rapidamente i naufraghi non di trattenerli a bordo in attesa di trattative politiche. Siamo registrati come nave da diporto a uso salvataggio ma l’Olanda sta pensando di modificare la legislazione in materia, sempre in nome della sicurezza.