Il rafforzamento del potere, la conquista di nuove terre, la sottomissione di altri popoli, la vendetta per torti (veri o presunti) subiti, sono i fattori scatenanti delle guerre, fin dall’antichità. L’Iliade di Omero, scritto nell’VIII sec. a.C., narra il lungo assedio di Troia. Racconta la violenza e la crudeltà della guerra. Descrive pensieri e sentimenti dei protagonisti: il dolore, la paura, il coraggio, la pietas, l’ira, l’amore. I pensieri e i sentimenti degli achei e dei troiani appartengono a tutti coloro che, in tutti i tempi, sono coinvolti in una guerra. Da qui l’universalità del poema. La differenza più grande, rispetto al passato, è nel progresso tecnico: l’umanità non potrebbe sopravvivere all’uso delle armi atomiche.

La «discussione accanita», come la definisce il fisico Paolo Rovelli, sulla guerra russo-ucraina non riguarda la condanna dell’aggressione di Putin, pressoché unanime. L’oggetto del contendere è il “come” la solidarietà all’Ucraina debba esprimersi. Inviare armi non è il modo migliore per favorire una tregua e per avvicinare un accordo di pace. «Ogni arma in più – come sottolinea Rovelli – significa più devastazione e più morti». Quanti si commuovono per le immagini drammatiche provenienti dall’Ucraina non possono non sapere che la guerra prolungata comporta un imbarbarimento maggiore e amplifica, anziché contenere, i suoi effetti negativi. E a pagare il prezzo più alto, in termini di devastazioni, carestie, epidemie, impoverimento, è sempre la popolazione civile.

La parola “guerra” è impronunciabile perfino per Putin, per il quale l’attacco militare diventa un’«operazione speciale». Ma il vocabolario è ricco di espressioni che trasformano le guerre in «interventi umanitari», «preventivi» e quant’altro. Un classico sono le guerre ingaggiate per «esportare la democrazia». Così è stato per l’Afghanistan, l’ex-Yugoslavia, l’Irak, la Siria, la Libia, ecc. Poi c’è chi, come l’Italia, ne approfitta ed esporta armi (in ben 87 paesi). Si cercano sempre giustificazioni nobili, ma non ci sono guerre “giuste”.

Se vogliamo essere seri e obiettivi, le guerre hanno sempre accompagnato la volontà di difendere ed estendere interessi economici e sbocchi commerciali. «Il capitalismo porta in sé la guerra, come la nube porta il temporale» scriveva nel 2014 Jean Jaurès, socialista riformista e pacifista convinto, prima di essere ucciso a Parigi da un giovane favorevole alla guerra. Solo gli ingenui e gli sprovveduti possono pensare che dietro «l’operazione speciale» di Putin non ci siano anche motivazioni economiche.

Prima dell’aggressione russa, per molti italiani l’Ucraina era solo il paese d’origine delle numerose badanti che assistono i nostri vecchi. Era un paese dell’ex Unione sovietica, lontano dai nostri standard di benessere. Una semplificazione. Con la guerra abbiamo scoperto che l’Ucraina è un paese ricco di risorse naturali. Possiede il 5 per cento delle risorse minerarie a livello globale. E’ ai primi posti per le riserve di ferro e carbone. Nel suo sottosuolo si trovano metalli rari, oggi molto contesi, come uranio, titanio, gallio, manganese, grafite e mercurio. Importanti risorse di gas non sono ancora esplorate. L’Ucraina, inoltre, è primo produttore al mondo di semi di girasole e tra i primi di grano e mais. Il 20 per cento del grano tenero importato dall’Italia proviene dal porto di Odessa. Il prolungamento della guerra prelude, dunque, ad un’inflazione galoppante e incontrollabile. Un danno per le fasce deboli e un vantaggio per chi specula sui prezzi.

La guerra russo-ucraina, con tutta evidenza, si inserisce nella contesa mondiale per l’egemonia economica. Assistiamo ad un’accelerazione della competitività e della conflittualità a livello globale. Cresce il peso della Cina e dei paesi asiatici, diminuisce quello di Usa e Ue. Nel 2030, secondo alcuni scenari, Europa, Stati Uniti e Australia produrranno un terzo del Pil mondiale. Un vero e proprio capovolgimento geo-economico e geo-politico. Naturalmente gli scenari futuri non sono mai lineari e definitivi. Le variabili sono tante. Una di queste è proprio il ruolo della Russia. Di certo ci troviamo ad un tornante storico delicato e complesso. Non serve ragionare secondo categorie del Novecento. Non ci sono i buoni da un lato e i cattivi dall’altro.

E’ sbagliato e pericoloso riproporre la narrazione di una nuova guerra fredda, di un mondo diviso in blocchi contrapposti. La Russia non è l’Urss né il capitalismo si identifica con la libertà e la democrazia. L’economia mondiale, dall’89 in poi, si svolge tutta all’ombra del capitalismo (declinato in tanti modi). Bisogna rifuggire dagli schematismi. Gli interessi in gioco sono tanti e la ricerca di un nuovo ordine mondiale non è facile. Ma la via del dialogo, della cooperazione e della coesistenza pacifica non ha alternative.