Per le strade della Germania ieri è risuonato forte il «no» al Ceta, il trattato di libero commercio che vorrebbero siglare Unione europea e Canada. Oltre 200mila persone in 7 grandi città hanno manifestato nella giornata di mobilitazione indetta da un largo cartello di organizzazioni: dai sindacati ad Attac, da Greenpeace a gruppi protestanti e cattolici. In piazza anche le forze di sinistra, proprio alla vigilia del voto berlinese: Linke e Verdi, compatti, ma anche settori della Spd, trainati dalla federazione giovanile (Jusos). Proprio sui socialdemocratici, assai divisi, si concentra la pressione del movimento, perché domani l’assemblea nazionale del partito deciderà che posizione assumere. Gabriel, il segretario che è anche vicecancelliere e ministro dell’industria, vuole la firma del trattato, e con lui la gran parte del gruppo dirigente nazionale. Fortissime resistenze, invece, nella base, visto che il sindacato teme una riduzione degli standard di protezione sociale.
Questo genere di accordi commerciali, infatti, punta a ridurre le «barriere non tariffarie», comprese quindi tutte le norme – a tutela di lavoratori, consumatori e ambiente – che rendono «più difficile» investire o esportare. A garantire le grandi imprese tribunali arbitrali privati che potranno punire gli stati che «ostacolino» il business.

Se la Spd dirà il suo via libera, allora il governo potrà sottoscrivere l’accordo insieme agli altri esecutivi della Ue, in un vertice Europa-Canada previsto per fine ottobre. Poi toccherà ai parlamenti nazionali: in Germania dovrà esprimersi anche il Bundesrat, la camera dei Länder, ed è per questo che al corteo berlinese circolavano migliaia di volantini con l’invito a dire «no» al Ceta anche nelle urne di oggi. Il voto, infatti, determina indirettamente anche la rappresentanza della capitale tedesca nella camera alta, come Linke e Verdi non hanno mai cessato di ricordare: «Con noi al governo della città-Land, Berlino voterà contro». Su posizioni opposte ovviamente la Cdu e i liberali della Fdp, in opportunistico silenzio la destra di Afd, che oscilla fra protezionismo venato di toni neo-nazionalisti e classiche posizioni liberiste.
Nel movimento è diffusa la preoccupazione che l’intesa con il Canada faccia rientrare dalla finestra il Ttip, l’accordo di libero scambio Usa-Ue recentemente dichiarato morto proprio dal vicecancelliere Gabriel. «Basta che le imprese americane aprano società controllate nel paese vicino», è il fondato sospetto. Chi pensava che la battaglia fosse vinta, quindi, si stava sbagliando.