La chiusura degli stabilimenti di Matera, Ginosa (Taranto) e Jesce (Bari) e 1.726 dipendenti (1.580 negli stabilimenti produttivi e 146 negli uffici centrali) da porre immediatamente in mobilità a causa dell’imminente scadenza della cassa integrazione a ottobre: questo il piano industriale 2013-2018 presentato ieri nella sede romana di Confindustria dal gruppo Natuzzi. Ma quello che nelle intenzioni dell’azienda è un «Piano di Salvaguardia del Polo Italia», per lavoratori e sindacati altro non è che la conferma di quanto sospettato da tempo: ovvero la decisione di delocalizzare gran parte della produzione all’estero (Cina, Brasile, India e Romania), dismettendo diversi siti industriali in Italia.

Un piano di tagli «necessari» per allineare l’attuale struttura operativa alle «effettive esigenze dei mercati», e un investimento di 190 milioni di euro che permetterà al gruppo un «ritorno alla competitività, attraverso forti investimenti in innovazione di prodotto e di processo, in marketing e comunicazione e nello sviluppo dei punti vendita Natuzzi Italia nel mondo».

Ma per fare spazio alle esigenze dei mercati e restituire competitività al marchio, a pagare devono essere soltanto i lavoratori. La Natuzzi ha giustificato i tagli con i costi industriali che negli anni l’avrebbero separata dai principali  competitor stranieri e da alcuni concorrenti sleali, portando a sostegno i risultati registrati negli ultimi sei anni (2007-2012) in cui il gruppo ha registrato un EBIT negativo di 140 milioni di euro, «largamente imputabile agli elevati costi industriali e all’altissimo costo del lavoro». Per questo gli attuali organici in Italia «non sono più sostenibili e tecnicamente non possono più essere gestiti attraverso la cassa integrazione straordinaria», che ha coinvolto 1.450 collaboratori nel solo 2012, dei quali 674 a zero ore.

Peccato che ieri a Roma l’azienda abbia mancato di riportare gli ultimi dati: come il fatturato realizzato nel 2011 pari a 486,4 milioni di euro e i risultati consolidati relativi al primo trimestre del 2013 approvati dal Consiglio di amministrazione, che hanno registrato un aumento del 3,4% (+5,1% in volumi) delle vendite nette rispetto al primo trimestre 2012. Le vendite nette totali sono invece pari a 110,7 milioni di euro, invariate rispetto al primo trimestre 2012. Il margine industriale pari al 29% sulle vendite nette, in diminuzione rispetto al 32,1% del primo trimestre 2012; un Ebit negativo per 6,9 milioni, in miglioramento rispetto alla perdita operativa di 7,4 milioni riportata nel primo trimestre 2012; e un risultato netto dopo le imposte in miglioramento di 2,4 milioni (da -8,4 a -6 milioni). La posizione finanziaria netta al 31 marzo 2013 è positiva per 28,6 milioni di euro.

Immediata la reazione dei sindacati, che attraverso le segreterie nazionali di categoria FeNeal Uil, Filca Cisl, Fillea Cgil, unitamente alle segreterie regionali e territoriali e alle Rsu delle unità produttive del gruppo, hanno respinto al mittente «i contenuti del Piano Industriale», dichiarando «inaccettabile la decisione della direzione aziendale di aprire una procedura di mobilità per 1.726 lavoratori senza nessuna possibilità di confronto per verificare o proporre soluzioni orientate al mantenimento dei posti di lavoro» e annunciando una serie di scioperi a tappeto a partire da oggi in tutti i siti industriali del gruppo, dopo le vibranti proteste delle scorse settimane.

E non basta: i sindacati chiedono al governo l’immediata convocazione di un tavolo al ministero dello Sviluppo (Mise), «anche per dare esigibilità all’Accordo di programma» per il settore del mobile imbottito sottoscritto a Roma lo scorso febbraio (dopo un’attesa di ben 11 anni), che ha previsto un finanziamento di 101 milioni di euro (40 dal Mise e dalla Regione Puglia e 21 dalla Regione Basilicata). Accordo sul quale l’azienda è sempre apparsa scettica sostenendo che «gli strumenti per l’erogazione non sono ancora noti. Senza sgravi fiscali per le imprese, non ci potrà essere rinascita e nuovo export». La Natuzzi, dunque, è pronta alla fuga dopo aver fatturato centinaia di milioni grazie ai lavoratori lucani e pugliesi. È alle porte una nuova stagione di lotte durissime.