Da quasi quarant’anni in Inghilterra c’è un elettore molto speciale. E si chiama Rupert Murdoch. Per comprenderne fino in fondo l’importanza , abbiamo parlato con Nick Davies, il giornalista del Guardian che con la sua inchiesta sul cosiddetto «phone hacking» (l’intrusione nei telefoni di politici e celebrità da parte dei giornalisti dell’impero editoriale di Murdoch) ha costretto il magnate di origini australiane a chiudere uno dei suoi gioielli editoriali, il domenicale News of the World.

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«Potrei cominciare con un aneddoto, – racconta Davies – mentre si preparava alle elezioni generali del maggio 2010, l’allora primo ministro Gordon Brown incaricò i suoi collaboratori di scrivere un discorso particolarmente rischioso… E attaccò la stampa. Anzi, fece qualcosa di più: attaccò senza mezzi termini Rupert e James Murdoch (il figlio del tycoon, ndr) per nome, difendendo la Bbc sempre sotto attacco da parte di Sky, ridicolizzò l’ossessione di James Murdoch per il profitto e chiese un nuovo approccio alla regolamentazione dei loro stili di lavoro. “Era un pugno in faccia a Murdoch”, raccontò uno dei funzionari che hanno lavorato sul testo. Che Brown però non pronunciò mai».

La forza di Murdochi è ormai strutturale per il sistema politico inglese?

Credo di poter dire che dall’aprile 1979 nessun governo britannico è stato eletto senza il sostegno di Rupert Murdoch. Naturalmente questo non significa sostenere che sia sempre stato Murdoch a vincere, significa dire che i politici temono il suo potere, credono che possa eventualmente essere decisivo, e quindi con lui giocano sempre in difesa.

Basta vedere come è finita con Gordon Brown…

Gordon Brown è stato premiato per il suo silenzio da un bombardamento di falsità, soprattutto dal giornale di punta, il Sun. Nulla di strano che un giornale dichiari la sua posizione nel corso di una campagna elettorale ma lì il caso era diverso. Si trattava di un quotidiano nazionale che nove mesi prima delle elezioni aveva intrapreso uno sforzo concertato per cacciare un primo ministro che poteva anche vincere. Non c’era spazio per il «fair play».

E i politici che giocano per Murdoch?

Anche per loro la vita non è così semplice. Di sicuro hanno il sostegno di una macchina che tratta i propri lettori come un parco buoi. L’ex responsabile del gruppo di Murdoch in Inghilterra, Rebekah Brooks, è stata adamantina in un messaggio a David Cameron, quando si preparava a fare il suo ultimo discorso al congresso Tory prima delle elezioni del 2010: «Faccio il tifo per voi perché professionalmente in questa partita siamo insieme».

Dici che ci sono regole non scritte da rispettare?

In un certo senso sì. La difficoltà principale per qualsiasi leader che si impegna in una storia d’amore elettorale con Murdoch è che il corteggiamento comporterà l’adesione, o la promessa di adesione, a misure che se soddisfano il vecchio magnate e i suoi direttori possono soffocare l’elettorato. Cameron, ad esempio, cinque anni fa ha reagito a una forte denuncia dal campo Murdoch su Ofcom (l’agenzia inglese di regolamentazione dei media, ndr), annunciando che se fosse diventato primo ministro l’avrebbe semplicemente abolito. Ovvio l’entusiasmo di James Murdoch, poi amministratore delegato di BSkyB, che era stato pubblicamente umiliato per due volte da Ofcom. Una volta a Downing Street, però, Cameron ha capito che la sua promessa era stata troppo sfacciata per essere mantenuta. I Murdoch hanno dovuto «accontentarsi» di vedere Ofcom perdere il 28% del suo bilancio, quasi il 20% del personale e alcune delle sue più importanti competenze giuridiche, ma senza l’omicidio finale. Problemi simili ci sono state anche su altre promesse altrettanto selvagge dell’attuale primo ministro, per esempio promettere di tagliare o eliminare il canone della Bbc, per poi fare marcia indietro quando il direttore generale, Mark Thompson, il presidente del Bbc Trust Sir Michael Lyons e ogni altro membro del Trust si sono detti pronti a dimettersi in segno di protesta.

E poi ci sono le intercettazioni…

Già. Lo scandalo delle intercettazioni ha investito direttamente un primo ministro che aveva assunto come braccio destro (e responsabile dell’informazione) un membro della cerchia ristretta di Murdoch. Ma questo pericolo era evidente anche quando Cameron e George Osborne avvicinarono Andy Coulson nel maggio 2007. Hanno semplicemente ignorato i segnali di allarme: il potenziale beneficio era troppo allettante. Cameron ci ha messo molto tempo per riconoscere che il suo «matrimonio» con Murdoch era pericoloso. Durante i suoi primi 15 mesi a Downing Street ha tenuto 26 incontri con Murdoch o suoi luogotenenti. Quando emerse la verità sul metodo di lavoro del News of the World, all’inizio Cameron l’ha fermamente ignorata, preferendo stare vicino a Murdoch e lasciare Coulson responsabile delle comunicazioni del suo governo. È stato solo quando lo scandalo finalmente è esploso con una forza politica travolgente, nel luglio 2011, che il governo invitò Rebekah Brooks a dimettersi e creò una commissione di inchiesta.

Che lezione ti senti di poter trarre da questa lunga storia?

Cameron, Miliband e chiunque altro si immagina come leader politico potrebbero anche denunciare il fatto che esiste una organizzazione che si introduce nella vita privata delle persone e che chiama tutto questo «giornalismo».

Che cosa hanno da perdere i politici?

Nient’altro che le catene della propria paura.