Il sipario su Morning Show si alza, opportunamente, nelle ore prima dell’alba, quando nello studio dell’omonimo programma mattutino piomba la devastante notizia: Mitch Kessler (Carrell), mezzobusto del TG che allieta le mattine di milioni di telespettatori fra siparietti e prove di cucina, è stato accusato di abusi sessuali e licenziato in tronco. Il dito è su una piaga ancora aperta a Hollywood e dintorni (e nei “dintorni” ci sono anche le newsroom di molte TV e giornali).

Dopo l’affaire Weinstein i numerosi casi che hanno, come si dice, cambiato il paradigma comprendono Roger Ailes fondatore della reazionaria Fox News, licenziato per abusi seriali (vicende raccontate quest’anno della serie Loudest Voice) e Matt Lauer appunto del notiziario mattutino della NBC.

In Morning Show, la serie tv appena prodotta da Apple per le sue app, lo scandalo è una doccia fredda per i produttori del programma e per Alex Levy (Jennifer Aniston) che da quindici anni conduce lo show assieme a Mitch. “Vedova” televisiva, la giornalista si ritrova a dover affrontare da sola il pubblico e a espiare lo scandalo che minaccia, proprio ora nella delicata fase di rinnovo del suo contratto, anche la sua carriera.

Intorno un corollario di agenti, produttori esecutivi (Mark Duplass), direttori di network (Billy Crudup), concorrenti sgomitanti e ambiziosi (c’è anche una reporter regionale specializzata in collegamenti in diretta ma troppo irascibile per fare carriera: Reese Witherspoon), tutti operatori di quel singolare mestiere intriso di ipocrisia, correttezza politica, cerone e angoscia che pervade i corridoi del “giornalismo” televisivo americano e non solo.

Morning show è un ritratto corale che sfiora al suo meglio livelli altmaniani o comunque la frenesia di Quinto Potere. Uno sguardo necessario, mordace e soprattutto autoironico su un mondo a cavallo fra news e spettacolo da sempre ambiguo e ora perdipiù in odore di obsolescenza a causa della comunicazione in era internet – giusto per tirar fuori il peggio da tutti gli interessati.

“Fra un po’ saremo tutti schiavi di Silicon Valley,” esclama a un certo punto un programmista esasperato. E qui “l’inside joke” è che la serie, prodotta da Aniston e Witherspoon, debutta proprio sulla nuova piattaforma Apple Tv+ che potrebbe accelerare la rovina dei network TV.

Jennifer Aniston nel 2018, foto LaPresse
Jennifer Aniston nel 2018, foto LaPresse

 

Ne abbiamo parlato con Jennifer Aniston.

Ci parli della genesi del programma.

I retroscena di questo tipo di programmi mi hanno sempre affascinato, c’è una sorta di sfrontatezza nell’ambiente che mi è sembrato valesse la pena di esplorare. Poi, dopo che avevamo venduto il progetto, è scoppiato #MeToo. E così siamo dovuti tornare indietro e ricominciare da zero, non era pensabile ignorare ciò che stava succedendo. E in un certo senso il copione si è scritto da se. Kerry (Ehrin, ndr) ha prodotto una sceneggiatura che aveva il coraggio di discutere ciò che tutti volevano rimuovere, di immaginare le conversazioni dietro le quinte.

È una serie sul giornalismo sullo spettacolo?

Tratta principalmente del potere e del suo abuso nel mondo nell’industria dell’intrattenimento e di ciò che accade in un sacco di redazioni, come ha confermato il caso Roger Ailes (fondatore della Fox News, ndr). Trovo molto positivo che questo tipo di comportamento sia stato svelato. Il concetto di potere e come gestirlo sta cambiando, molte di queste persone sono fortunatamente state eliminate. Le norme stanno finalmente cambiando.

Il personaggio di Steve Carelle ad un certo punto esclama “nessuno mi aveva detto che le regole sono cambiate…”

Si, come dicevo, le regole stanno cambiando. Non credo che chiunque debba essere crocifisso senza prove. E vi sono, certo, sfumature diverse dall’aggressione esplicita, espressioni di patologie e comportamenti che discendono da generazioni in cui il “flirt” era ammissibile. Certo, le distinzioni sono complicate ma necessarie.

A proposito di cambiamenti come è stato lavorare per la Apple?

Abbiamo avuto la sensazione di lavorare su una nuova frontiera del West, è stato stimolante per tutti. Ci è sembrato il posto giusto per tentare di affrontare temi che non lo erano stati in passato, far parte di qualcosa di mai visto prima. L’ho trovato più interessante che non lavorare coi soliti meccanismi prestabiliti.

Sempre in tema di cambiamenti, anche nel giornalismo non mancano di certo.

Non me ne capacito ancora. Sono ancora abbonata ai giornali della domenica e rimpiango i giorni in cui non c’erano i telefoni e Internet. Era un tempo più semplice e più pacifico. Ovviamente accadevano un sacco di cose nel mondo ma potevi decidere di recepirle, non era il bombardamento costante cui siamo sottoposti oggi. Tutto a portata di click sempre, è orribile.

Morning Show è una satira politica?

Non direttamente ma direi che tratta del potere delle corporation e dell’abuso che ne viene fatto. Coloro che decidono di ignorarlo si macchiano in definitiva della stessa colpa e aiutano a perpetuare il problema. Era questo il mondo che volevamo esplorare. Esistono nuove regole ed ognuno sta cercando di capire come manovrare in questo nuovo mondo.