Intervistato per un programma Rai nel 1963 Antonio Delfini disse che Modena poteva rivelarsi una città molto interessante per un giovane avventuroso che avesse voluto «conquistarla». Occorreva però affrontarla di prepotenza e guardare alla sua parte meno segreta. Cesare Leonardi (Modena, 1935), personalità eclettica e vivace dell’architettura e dell’arte che una storiografia a maglie larghe aveva smarrito, sembra che con più coscienza di altri abbia seguito il consiglio del poeta modenese. Nel visitare la retrospettiva che gli dedica la Galleria Civica (L’architettura della vita, fino al al 4 febbraio) appare chiaro che entrambi sono legati da una stessa ironica, irriverente e metafisica maniera di guardare la realtà.

Per accorgersi di questa singolare vena di Leonardi bisogna iniziare la visita da Palazzo Santa Margherita, una delle due sedi, insieme alla Palazzina dei Giardini, nella quale si articola la mostra. Qui, in una grande sala, si è conquistati alla vista dei suoi Solidi. In modo apparentemente ammassato sono distribuiti un buon numero di sedie e di tavoli, diversi l’uno dall’altro ma aventi la stessa matrice: la tavola di legno d’abete gialla impiegata come casseforme per i getti di cemento armato. Questa è ritagliata secondo il criterio che ogni pezzo da montare non deve produrre sfrido o rifiuto di materiale: tutti gli elementi dell’oggetto sono contenuti nella misura standard della tavola (cm. 150x50x0,27). Tornano in mente le parole di Leonardo Ricci, che Leonardi incontra nel periodo dei suoi studi universitari a Firenze: «Tutto è logico, anche se non si sa perché». Il mondo può apparire «misterioso», ma non assurdo, «basta trovare le “relazioni” fra le cose che esistono».

Leonardi approda all’invenzione dei Solidi nel 1983, nello stesso anno chiude il suo sodalizio con Franca Stagi. Insieme a lei, dieci anni prima, era divenuto famoso come designer grazie alle sedute in vetroresina Poltrona Nastro (1961) e Dondolo (1967). Gli oggetti che segnarono il loro debutto internazionale ora occupano un spazio ridotto della sala e si mostrano con quelle linee avveniristiche che fecero scalpore alla mostra newyorkese del MoMa Italy: The New Domestic Landscape (1972), ma vicino alla qualità artigianale assoluta degli arredi in legno, questi in vetroresina continuano ad appartenere a un altro mondo. Purtroppo la loro produzione, dopo qualche anno, s’interruppe, a causa della crisi petrolifera che fece lievitare i costi delle materie plastiche, e non fu mai più ripresa. Nell’arco di un ventennio lo studio Leonardi-Stagi sviluppa insieme al design un’intensa attività progettuale che ha soprattutto come oggetto il rapporto tra l’architettura e il paesaggio. È in quest’ambito che il lavoro di Leonardi può considerarsi pionieristico, memore soprattutto dell’insegnamento di Marcello D’Olivo presso il quale, ancora studente universitario, alla fine degli anni sessanta, compie un breve tirocinio. Condivide con il maestro friulano la stessa definizione di architettura intesa come «produzione di oggetti artificiali inseriti nella natura atta a soddisfare le esigenze umane di un vivere sempre più evoluto».

È con questa idea-guida che Leonardi realizza a Vignola, lungo il fiume Panaro, il Centro sportivo (1966), ideato come un esteso parco fluviale (mai completato) con attrezzature per il tempo libero e lo sport, oppure a Modena il Parco Amendola (1972-’81), con la sua torre-faro che purtroppo non gira più, o ancora a Imola la sistemazione della Piazza Michelangelo (1972-’74), con le sue collinette tronco-coniche. In ognuno di questi progetti c’è la volontà di interagire con la scala territoriale mitigando le storture di una sbrigativa crescita urbanistica. È un peccato che tra questi non si sia realizzato il Parco della Resistenza – risultato della sua tesi di laurea nel 1970 con Leonardo Savioli –, che prevedeva una complessa infrastruttura verde avente lungo i fiumi Secchia e Panaro la sua bordatura. Scrive Andrea Cavani, curatore della mostra con Giulio Orsini (a loro si deve la «conservazione» dell’archivio Leonardi), che questa infrastruttura «avrebbe cambiato destino allo sviluppo della città di Modena». Il progetto purtroppo si è trascinato per decenni e poi nel 1995 si è perso negli uffici tecnici comunali mentre l’edilizia delle coop aveva ormai divorato la campagna.

Ancora negli anni ottanta sarà il binomio strada-paesaggio (Asse Cispadano Modena-Mirandola) l’oggetto del confronto progettuale di Leonardi per tentare di dare una nuova visibilità alle relazioni tra il contesto naturale e quello antropizzato che le infrastrutture stradali avevano gravemente compromesso. Come nel design con i Solidi, anche nell’architettura degli spazi chiusi (Ristrutturazione del Collegio San Carlo a Modena, 1973-’77; Centro Nuoto a Mirandola, 1973-’80) o aperti è esplicito il rigore scientifico dell’analisi di Leonardi che ha lo scopo di rendere replicabile il metodo, ovvero il rispetto della regola, nell’accettare l’eccezione. L’aspirazione è sempre quella di creare una struttura «aperta» e sempre «modificabile» nel tempo, «che cresce e si integra con il verde» come si legge, ad esempio, nella relazione per il cimitero San Cataldo di Modena: un progetto antitetico a quello poi scelto da Aldo Rossi.

Un’ultima sua invenzione per fissare l’armonia e disciplinare il disordine è la Struttura Reticolare Acentrata: un sistema di ventitré poligoni irregolari composti da nodi e aste nel quale ai primi corrispondono edifici o alberi mentre le seconde perimetrano aree diverse per funzioni e forma. La sola volta che la SRA si poggia su un terreno è a Castelfranco Emilia, nel bosco di quaranta ettari adiacente alla storica Villa Albergati.

È lì che l’architetto modenese compone la sua Città degli Alberi, dove chi la visita sa che «lui è ospite, gli alberi padroni di casa». Gli alberi occupano un posto a sé stante nell’opera di Leonardi, tanto che ricorderà di avere sentito da subito per loro «un’attrazione maggiore che per le forme dell’architettura». Per circa due decenni, a Modena, sull’Appennino e nei vari giardini botanici visitati nei suoi viaggi, li fotografa annotandone le misure per ridisegnarli in scala 1:100, isolati dal contesto. Sarà dalle centinaia di schede di quegli alberi, riprodotti in disegno e fotografati a ogni latitudine, che nel 1982 potrà dare alle stampe L’Architettura degli Alberi (Mazzotta): un’impresa editoriale insuperata per qualità grafica e studio delle essenze arboree. Nel 1962 la sequenza delle mutazioni stagionali di un carpino bianco nel Parco delle Rimembranze sarà il primo soggetto della sua investigazione fotografica, che meglio della pittura e della scultura svolgerà il compito di scandaglio visivo dell’esistente.

La fotografia di Leonardi conferma i suoi interessi per i processi «transdisciplinari» delle arti e rifugge dagli aspetti di specialismo e di estetizzazione, come Daniele De Luigi ha bene evidenziato in catalogo (lazy dog). Dal periodo sperimentale (fine anni cinquanta) delle sovraimpressioni di negativi e delle manipolazioni in camera oscura, passa alle riprese multiple (Sequenze), che ci restituiscono la circolarità delle mutazioni nel tempo (la natura degli alberi, il contrasto luce-ombra, etc.) e non solo un’ordinaria successione di scatti.