Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. Da un lato voi approvate la prudenza sui conti del governo per non entrare in conflitto con l’Ue. Dall’altro lamentate, e giustamente, fondi insufficienti per la sanità. Come se ne esce? Dove prendereste le risorse per aumentare il fondo sanitario?

La prudenza sui saldi è inevitabile: l’anno prossimo tornano le regole europee e l’aumento dei tassi di interesse costerà parecchio alle casse dello Stato. Ma la cautela non può diventare immobilismo. Sulla sanità si rischia il collasso, come da mesi denunciano anche le regioni guidate dalla destra. Il finanziamento non tiene minimamente il passo dell’inflazione e servirebbero 15 miliardi per arrivare al 7 per cento del Pil. La via maestra per trovarli è una drastica riduzione dell’economia sommersa. Non è una missione impossibile: dal 2015 al 2020, grazie innanzitutto alla fatturazione elettronica, l’evasione delle principali imposte si è ridotta da 90 a 72 miliardi annui. Ci sono spazi di recupero piuttosto ampi anche nella revisione della spesa pubblica. In questo Def non c’è niente di tutto questo perché il governo e la maggioranza non vogliono pagare i prezzi politici di queste scelte.

Colpisce come nel Def firmato Giorgetti si dica che con più migranti si avrebbe un miglioramento dei conti pubblici. E invece questo governo continua nella lotta alle ong e alla criminalizzazione degli immigrati.

Sui migranti la verità è che il governo non sa che pesci pigliare. La dichiarazione dello stato di emergenza è un commissariamento di fatto del ministro Piantedosi che certifica il totale fallimento di quanto fatto finora. Quanto alla proposta della Lega di abolire la protezione speciale, sarebbe una decisione disumana, che consegnerebbe alla clandestinità e allo sfruttamento migliaia di persone. Nessuno ha la bacchetta magica, sull’immigrazione. Servirebbe realismo e concretezza ma il governo non riesce ad andare oltre la propaganda, i decreti inutili e la faccia feroce.

Sulle pensioni non ci sarà nulla neppure nel 2024. Salvini, dopo aver demonizzato la riforma Fornero, questa volta, e a differenza del 2019, non è riuscito a inventarsi neppure quota 100. I sindacati sono infuriati. Neppure per il Ponte sullo stretto c’è un euro nel Def, salvo constatare che consterebbe 13,5 miliardi.

Le risorse sono oggettivamente limitate e sarebbe ora di dire la verità al Paese, scegliendo le reali priorità: la sanità, la scuola, il salario minimo, l’attuazione del Pnrr e gli investimenti per la transizione ecologica e digitale. Non ci riusciranno perché tutti cercheranno di piantare le proprie bandierine sulla prossima manovra. Peccato che dietro queste bandiere non ci sia nulla. Vale per il ponte come per tante altre promesse che rimarranno tutte sulla carta.

Per quest’anno e il 2024 sono previsti circa 3,4 e 4,5 miliardi da investire sul terreno fiscale. Condivide l’ipotesi di un taglio del cuneo per i redditi più bassi? Come utilizzereste questi soldi se foste al governo?

Che fosse necessario mettere molti più soldi per tagliare il cuneo noi l’avevamo detto durante la discussione della legge di bilancio. Ci hanno ignorato, salvo ricredersi dopo pochi mesi. Purtroppo però siamo ancora alle toppe una tantum. Se fossimo al governo, noi faremmo un’operazione maggiormente progressiva e, soprattutto, di carattere strutturale. Di fronte ad una perdita drammatica di potere d’acquisto dei salari, la priorità è una riduzione consistente e permanente delle tasse sul lavoro. La proposta di riforma fiscale del governo punta invece alla flat tax. È l’opposto di quanto è necessario fare.

Colpisce, nel documento del governo, anche il riferimento alla revisione del catasto che la destra ha bloccato durante il governo Draghi. Il Mef parla di una «mera ricognizione», e tuttavia su questo tema così come sui balneari l’Ue preme per delle riforme concrete.

Senza una revisione tutte le imposte, patrimoniali e non, che si basano sui valori catastali rimarranno fortemente sperequate. Il governo non ha intenzione di fare nulla né su questo punto né su altre scelte che rischiano di scontentare settori del proprio elettorato. Altro che riforme. Questa destra preferisce parlare di rave, di multe contro gli imbrattatori, di tutto tranne che delle cose che servirebbero per sbloccare un Paese frenato da una moltitudine di rendite di posizione.

Il Pnrr finora non ha avuto risultati tangibili sul Pil. Quali rischi concreti vedete? Siete disponibili a dare una mano al governo o questa porta è già stata chiusa da Meloni?

Sul Pnrr Meloni e i suoi ministri hanno passato mesi e mesi a giocare con le interviste, le polemiche e lo scaricabarile. L’unica cosa concreta che hanno fatto è cambiare la governance, con il rischio di bloccare tutto per mesi. Il tempo ormai si è quasi esaurito e l’Italia rischia di perdere la faccia. Noi siamo pronti a collaborare: l’interesse della Nazione, per usare la terminologia di Meloni, è attuare il Piano fino all’ultimo euro e all’ultima riforma. Il governo però deve venire in Parlamento e mettere le carte in tavola, entrando nel merito di come intende rivedere il Pnrr. Prima lo fanno, meglio è per tutti.