Oggi saremo tutto il giorno davanti al Parlamento per ricordare come il principale problema del nostro paese sia l’impoverimento che colpisce 16 milioni di italiani ed italiane. Lo facciamo nella giornata mondiale per l’eliminazione della povertà, istituita nel 1993 dalle Nazioni Unite. Una giornata mondiale che cade nel più completo disinteresse delle nostre istituzioni nazionali. La povertà è oggi il principale problema del nostro paese ed ogni anno è sempre peggio.

Secondo i dati del rapporto Istat del 2013 sono più di 10 milioni le persone in povertà relativa (nel 2012 erano 9,4) e addirittura 6 milioni in povertà assoluta (nel 2012 erano 4,8). Per Eurostat un italiano su tre è a rischio povertà. I minori indigenti sono passati da 723 mila a 1 milione e 434 mila. Anche la dispersione scolastica ha subito un impennata, arrivando al 17,6% contro il 13,5% della media europea. Gli homeless sono aumentati: se ne stimano circa 50 mila, soprattutto a nord-ovest (38,8%). Il 63% delle famiglie ha ridotto la spesa alimentare ed una famiglia su quattro soffre di deprivazione materiale grave. Sul versante occupazionale viviamo una crisi senza precedenti: oltre 3,2 milioni di disoccupati, 44% di disoccupazione tra i giovani con punte ben oltre il 60% al sud, più di 3 milioni di precari. La commissione Ue sull’occupazione – Employment and Social Developments in Europe Review – denuncia come anche il 12% degli occupati non riesca più ad arrivare a fine mese. Solo Romania e Grecia hanno percentuali di working poor più elevate delle nostre. In un paese così diseguale, fragile e precario sono le mafie a trarre grandi benefici. Riciclaggio, usura e tratta di esseri umani garantiscono profitti giganteschi, facilitati da una condizione diffusa di povertà materiale e culturale. E i profitti criminali vengono moltiplicati dalla corruzione e l’evasione fiscale. Per questo continuiamo a ripetere che la giustizia sociale rappresenta la precondizione per sconfiggere le mafie.

Vale la pena ricordare che si diventa poveri sostanzialmente a causa della perdita del lavoro e per la mancanza di politiche sociali. Se dal 2008 ad oggi la povertà è più che raddoppiata le responsabilità sono di chi ha scelto e consentito politiche che hanno ridotto il welfare e svilito il lavoro. Da questo non si sfugge. Il quadro normativo europeo complica ancora di più le cose. Le politiche di austerità ed i trattati di stabilità e governance hanno inibito la spesa pubblica e in particolar modo quella sociale, considerata come un costo insopportabile. Mentre le banche hanno ricevuto sostegni per oltre 4 mila miliardi di euro, senza nemmeno essere costrette da uno straccio di riforma a limitare la circolazione di titoli tossici e derivati, vengono negati i fondi per affrontare la gravissima condizione in cui versa il nostro continente, imponendo ulteriori tagli alla spesa sociale e bloccando gli investimenti pubblici in nome del rigore e del pareggio di bilancio. Una situazione già oggi insostenibile: 126 milioni di poveri, 43 milioni di affamati e 27 milioni di disoccupati in Europa denunciano come la crisi sociale ed economica non sia né solamente italiana, né passeggera. Non c’è nessuna relazione scientifica tra l’aumento del debito pubblico e la spesa pubblica, come è stato maliziosamente sostenuto per creare il consenso necessario a far apparire il welfare come un lusso che non possiamo più permetterci. I dati, gli studi effettuati, la storia europea e la nostra Costituzione considerano invece la spesa sociale e gli investimenti pubblici non solo un dovere etico-istituzionale, agganciato al soddisfacimento di diritti fondamentali, bensì uno strumento per il rilancio dell’economia da utilizzare maggiormente in periodi di crisi. È per queste ragioni  che è stata promossa un anno fa dal Gruppo Abele e da Libera, insieme a più di 1000 realtà del sociale e del volontariato laico e cattolico, la campagna Miseria Ladra.

In moltissime province italiane portiamo avanti nei confronti degli enti locali proposte per sostenere le vittime della crisi, lavorando per ottenere la sospensione esecutiva degli sfratti per morosità incolpevole, la residenza per i senza fissa dimora, l’utilizzo del patrimonio pubblico dismesso e di quello confiscato alle mafie per fini sociali e per generare nuovo welfare. Ma vogliamo, possiamo e dobbiamo fare molto di più. Al governo chiediamo di incrementare il fondo sociale e quello per la non autosufficienza; di introdurre il reddito minimo per una vita dignitosa per chi è povero e non trova lavoro; di riconsiderare i criteri di riscossione dei crediti da parte di Equitalia e del sistema bancario; di investire nella riconversione ecologica delle attività produttive e della filiera energetica, così da creare e garantire lavoro strutturale e di qualità, rispondendo allo stesso tempo alla sfida imposta dalla crisi ecologica. Alla Commissione Europea ed al Pe, insieme ad altre reti internazionali che combattono la povertà, chiediamo di fermare le politiche economiche di austerità; di sostenere un piano europeo straordinario per lo sostenibilità e l’occupazione; di definire in maniera vincolante i Livelli Essenziali di Assistenza Europei e delle Prestazioni; il riutilizzo sociale dei beni confiscati come previsto dalla Direttiva approvata nel febbraio scorso, con l’estensione ai corrotti; l’istituzione di una banca dati europea del patrimonio pubblico e privato inutilizzato; il diritto di voto ai migranti e la ratifica della Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.

Proprio l’intangibilità della dignità umana nella nostra Carta rappresenta l’elemento di maggior innovazione, introducendo un nuovo statuto della persona ed un nuovo quadro di responsabilità e doveri costituzionali dai quali origina l’idea di civiltà fondata sui diritti.

*campagna Miseria Ladra, Gruppo Abele/Libera