Henry Millon a Palazzo Carignano nel maggio del 2002

 

Uomo di grande fascino, di una cordialità che seduceva a prima vista, Henry Millon (1927-2018) ha servito la Storia dell’arte negli Stati Uniti in istituzioni di ricerca, universitarie e museali dedicandosi senza risparmio a fare incontrare studiosi, conservatori di musei, artisti, architetti, letterati e cineasti. Era profondamente convinto che il dialogo tra esperienze diverse, lontane per contesti disciplinari, geografie o partizioni cronologiche, fosse una ragione costitutiva della ricerca.
Nel 1974 fondava, con Stanford Anderson, il Dottorato in History, Theory and Criticism of Architecture alla School of Architecture del Massachusetts Institute of Technology (MIT); dal 1974 al 1978 Direttore dell’American Academy in Rome, le sue convinzioni trovarono una concretizzazione operativa nel Center for Advanced Study in the Visual Arts (CASVA) alla National Gallery di Washington: la comunità di ricerca da lui pianificata nel 1979 come logica intersezione di interessi tra un centro studi storico-artistici, una importante collezione di opere d’arte e una grande biblioteca con l’obiettivo dichiarato «to encourage team work in Art History».
Quella urgenza sentita di favorire l’interazione e lo scambio intellettuale aperti al confronto pluridisciplinare – perseguito con iniziative come Creativity. The Sketch in the Arts and Sciences, il convegno organizzato nel 2001 con Irving Lavin sul pensare ad alta voce in carta, in suoni o altri media (in letteratura, architettura, musica, scienze naturali, arti visive), che portò a dialogare Frank Gehry con Marc Fumaroli, Leo Treitler e Twyla Tharp – raccoglieva il testimone da un’attitudine di Rudolf Wittkower. Questi aveva inizialmente contribuito a orientare la ricerca di Millon con due seminari sulla trattatistica architettonica tenuti ad Harvard nelle estati del 1954 e del 1955. Dal primo presero avvio gli studi su Francesco di Giorgio e l’architettura di Michelangelo; dal secondo la tesi di dottorato su Guarino Guarini e il Palazzo Carignano a Torino e il catalogo dei disegni del Corpus Juvarrianum. Un doppio binario di interessi che lo avrebbe portato alle spettacolari mostre curate per Palazzo Grassi: Rinascimento, da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dell’architettura (con Vittorio Magnago Lampugnani, Venezia 1994); I Trionfi del Barocco. Architettura in Europa 1600-1750 (Stupinigi 1999).
Fu così che nel 1957, Millon si imbarcò con una borsa Fulbright per tre anni di ricerca a Torino, dove la sua strada tornava a incrociare quella di Wittkower. Completato Art and Architecture in Italy 1600-1750, con cui aveva restituito all’architettura in Piemonte una posizione di rilievo europeo, nell’estate del 1958 Wittkower vi era tornato per guidare un seminario di cui resta vivida testimonianza in un diario manoscritto dai giovani allievi (conservato alla Columbia University). Durò in tutto ventuno giorni, la prima settimana a visitare collezioni di disegni e le architetture in Torino, le due restanti dedicate al Canavese, al Monferrato e alle Langhe; furono visitati in tutto 126 edifici.
Le pagine del diario riportano di frequente gli interventi di Millon, in quella lezione di metodo sul valore ineludibile dell’esperienza diretta dell’architettura: esaminata sul posto a partire da una approfondita conoscenza degli esempi rinascimentali e barocchi, per individuare le fonti di riferimento e analizzare quanto era semplicemente una eredità modificata o, al contrario, era sorprendentemente nuovo – «what is breath taking new», letteralmente «la novità mozzafiato» –, nel caso dell’architettura di Guarini la cupola aperta che rompeva con l’affermata tradizione dell’architettura italiana. A impressionare è la lettura degli edifici condotta per via di una sintesi verbale di concisa incisività: si decifrano la pianta e le sue geometrie di impostazione; l’articolazione dello sviluppo dell’impianto in verticale; la distanza dai parametri del sistema convenzionale; si identificano i passaggi dell’invenzione, associandone i riferimenti a modelli noti.
La tesi su Palazzo Carignano, discussa ad Harvard nel 1964 e rimasta inedita, riscostruisce il cantiere del palazzo in un serrato corpo a corpo con documenti e disegni, come registrano i quaderni fitti di appunti, con i provini delle fotografie dei disegni incollati sulle pagine per annotarvi a lato i dati materiali dei segni del compasso o dello stilo, gli inchiostri, i ripensamenti, i rilievi delle filigrane. La strumentazione dello storico dell’architettura affinata nello spietato lavoro di analisi dei disegni si misurava saldandosi con la creatività in fieri del progetto di Guarini, facendone emergere l’intenzione visiva di completare il palazzo con una cupola traforata. Arrivato al culmine del percorso cerimoniale dello scalone, l’ospite avrebbe innalzato lo sguardo per rimanere sopraffatto dallo spettacolo che celebrava la gloria dell’eroe: a cantiere ormai ultimato, l’architetto teatino aveva infatti ancora innalzato il corpo centrale ovale per farne una camera di luce e allestirvi una superficie cupolata, sospesa e misteriosamente illuminata, sopra la volta forata del salone.
Il quarto capitolo della tesi mette a fuoco una relazione inattesa tra i quattro disegni elaborati da Guarini per Palazzo Carignano e gli altrettanti progetti sviluppati da Bernini per il Louvre di Luigi XIV, che l’architetto teatino aveva potuto vedere a Parigi nel 1665. Ne deriverà un saggio, pubblicato nel 1987 (in Il se rendit en Italie. Etudes offerts à André Chastel), dove fin dall’essenzialità telegrafica del titolo, Bernini-Guarini: Paris-Turin: Louvre-Carignano, si condensa il rigore filologico di un’analisi sostenuta dalla necessità morale di assumersi l’onere della prova. Nel risconto tra piante e alzati dei fogli dei due artisti, Millon accompagna Guarini mentre osserva, seleziona, critica le opzioni messe sul tappeto da Bernini, per ricomporle a ridosso della propria scelta di attribuire all’ovale del salone e alle curve delle scale la funzione generatrice della forma del palazzo più significativo costruito nell’ultimo quarto del Seicento.
Con un ulteriore tassello passa poi a dimostrare l’interesse di Bernini per una fonte che esulava dagli esempi delle architetture della Roma barocca indicate come riferimenti per i suoi progetti per il Louvre: il modello antico del Palazzo dei Cesari sul Palatino illustrato nelle ricostruzioni degli eruditi nelle stampe del Cinquecento, che mostrano una grande esedra con logge porticate, strutture con cupole e emicicli, forme concave e convesse. Al momento di immaginare il palazzo per il re di Francia, Bernini aveva tratto alcuni dei suoi riferimenti dal palazzo del più grande sovrano del mondo antico e l’esame di Guarini dei suoi progetti poteva essere motivato anche da quella ragione.
Con la medesima profondità di indagine applicata allo studio dei disegni di Michelangelo, Millon ha ricostruito, in un raro sodalizio di intesa con Craigh Hugh Smith, tappe fondamentali della storia della progettazione di San Pietro. La scelta di lasciare gli archivi della sua vita di studioso a Torino, presso l’Accademia delle Scienze, è anche un riconoscimento per le condizioni storiche di laboratorio sperimentale dell’architettura offerte dal Piemonte di Sei e Settecento, confermato dall’accordo emerso nella corrispondenza del 1976 con l’editore Giulio Einaudi per scrivere un saggio destinato alla Storia dell’arte in Italia, e dedicato a L’architettura in Piemonte ai tempi di Guarini.