È ormai tristemente noto come frammenti invisibili abbiano reso mari e oceani delle zuppe di plastiche, con conseguenze gravissime per la salute dell’ambiente e dell’uomo. Ma il processo di degradazione dei rifiuti plastici che produce particelle di dimensioni tali da penetrare i tessuti animali per assorbimento ed arrivare fino all’uomo attraverso la catena alimentare non avviene solo nelle acque salate: anche laghi e fiumi ne sono ormai pieni. Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, ci spiega origine e caratteristiche di un fenomeno non ancora discusso ma non per questo meno preoccupante.

A quando risale la consapevolezza che le microplastiche si trovino anche nei fiumi e laghi?

Abbiamo iniziato ad affrontare il tema della contaminazione da microplastiche delle acque interne nel 2015, sulla base di evidenze che provenivano dagli studi realizzati sulle acque marine: è risultato che l’80% della contaminazione è di origine terrestre, quindi trasportata da laghi e fiumi; inoltre, la contaminazione del mare risulta più elevata nei pressi delle foci dei fiumi. Sulla base di questi dati si è deciso di avviare nel 2016 uno studio preliminare assieme all’Enea, che ha monitorato l’Iseo, il Garda, il Maggiore per le regioni del nord, il Trasimeno in Umbria, Albano e Bolsena nel Lazio, accertando la presenza di microplastiche in tutti i laghi. Grazie a questa prima conoscenza del fenomeno è stato possibile progettare strategicamente i campionamenti del 2017. Questo monitoraggio è stato il primo e rappresenta a tutt’oggi l’unico studio a livello nazionale di questo fenomeno.

Con quali modalità si svolge un monitoraggio di questo tipo?

Non esistendo ancora un protocollo ministeriale, ne abbiamo messo a punto uno noi facendo riferimento ad alcune esperienze a livello europeo e alle tecniche utilizzate per le acque marine: in estrema sintesi, si percorrono dei transetti, cioè dei segmenti di rotta in linea retta, con un‘imbarcazione dotata della «manta», una rete a strascico le cui maglie strettissime sono in grado di trattenere le particelle di dimensioni relative a quelle delle microplastiche. I campioni prelevati vengono inviati ai laboratori Enea, dove le microplastiche vengono separate dal materiale organico, contate e poi caratterizzate chimicamente. I campionamenti vengono effettuati in condizioni climatiche ed ambientali diverse, avendo cura di confrontare aree di «bianco», cioè lontane dalle zone di accumulo, con le zone a maggiore concentrazione di inquinanti.

Dati significativi o che vi hanno sorpreso?

È stato importante rilevare che nessuno dei campioni prelevati era libero da microplastiche, indipendentemente dal tipo di lago o fiume, dalla collocazione del transetto. Le concentrazioni medie sono più basse di quelle delle acque marine, ma comunque rilevanti. Si tratta di un inquinamento consistente e ubiquitario, da tenere in considerazione. Un altro dato interessante emerge dal confronto fra le analisi fatte a monte e a valle degli impianti di depurazione: nelle acque che fuoriescono dai depuratori abbiamo trovato concentrazioni di microplastiche superiori anche del 50%: questo significa che gli scarichi delle lavatrici, le acque di fogna e i reflui contengono le microplastiche e i depuratori non sono in grado di trattenerle. A queste fonti si aggiunge poi la dispersione dei rifiuti che si degradano.

Avete rilevato differenze fra Nord, Centro e Sud Italia?

Al momento possiamo dire che sicuramente i laghi del Nord sono più inquinati di quelli del Centro e del Sud. Questo perché ricevono un apporto maggiore dai numerosi emissari che li alimentano.

Cosa si sa rispetto alle conseguenze?

Le microplastiche rappresentano un inquinamento di tipo fisico, con tutte le conseguenze del caso, per esempio il senso di sazietà degli animali che le ingeriscono, che poi non si nutrono più. Il loro impatto è anche di tipo chimico, perché sono veicolo di sostanze tossiche e con tendenza al bioaccumulo come metalli pesanti, sostanze organiche clorurate, Pcb (policlorobifenili). A questo proposito, mentre si è cominciato a fare qualcosa sui mari, per quanto riguarda laghi e fiumi non sono ancora stati effettuati studi per capirne la trasmissione a livello di catena alimentare; quest’anno con Enea e Uni Roma Tre abbiamo fatto un campionamento per vedere contenuti stomacali nei pesci, i dati arriveranno nei prossimi mesi. La prima indagine in questo senso si svolgerà quest’anno. Bisogna inoltre tenere conto che contrariamente alle acque marine, le acque dolci vengono utilizzate in agricoltura quando non per uso potabile, vedi l’esempio del Lago di Bracciano, nel Lazio. Nella valutazione della qualità di queste acque la presenza di microplastiche non viene presa in considerazione. In questo momento abbiamo una grande occasione perché è in corso la revisione della direttiva quadro europea 2000-60 sulle acque che stabilisce limiti ed obbiettivi per la tutela delle acque interne, come anche la direttiva 98-83 sulle acque potabili, volta fra le varie cose a disincentivare l’utilizzo di acqua in bottiglia a favore di quella che esce dai nostri rubinetti: Legambiente sta facendo pressione sulle istituzioni nazionali ed europee affinchè questo parametro venga inserito.

Oltre ai controlli, cosa fare, nell’immediato e sul lungo periodo, per affrontare il problema alla fonte?

Bisogna agire su più livelli. Il primo è quello dei comportamenti, anche individuali: abbiamo trovato molti rifiuti di origine sanitaria, come cotton fioc, cerotti, tamponi, che derivano da chi usa il Wc come una pattumiera; persiste poi la piaga dell’abbandono nell’ambiente. Il secondo è quello amministrativo: comuni, regioni, enti competenti devono migliorare il servizio di raccolta e la gestione dell’abbandono; inoltre, anche per le città lacustri, come è stato fatto da quelle che si affacciano sul mare è possibile emettere delle ordinanze che disincentivino l’uso delle plastiche, come il divieto di vendita di stoviglie usa e getta. Infine c’è l’ambito tecnologico: come abbiamo visto, i depuratori sono fonti di microplastiche, quindi sono gli obbiettivi principali da questo punto di vista: è fondamentale creare depuratori in grado di agire sulle microplastiche oltre che sulle cariche batteriche. Al momento abbiamo solo limitate sperimentazioni. Bisogna poi agire a monte, sui prodotti, come i vestiti, che sono una fonte importante di contaminazione.