«La maggioranza del congresso è lasciata all’oscuro sulla sostanza delle negoziazioni del Tpp, quando rappresentanti delle multinazionali statunitensi quali Halliburton, Pharma, Comcast e Motion Picture Association of America sono state consultati e resi partecipi di dettagli sull’accordo».

Così protestava nel 2012 il senatore statunitense Ron Wyden in merito alla mancanza di trasparenza del processo negoziale del Partenariato Trans-Pacifico (Tpp), di cui pochi avevano sentito parlare prima che arrivasse la notizia che l’intesa su un testo era stata raggiunta; che il Trattato, in pratica, si trovava un po’ inaspettatamente, in dirittura d’arrivo.

I movimenti hanno lanciato una settimana di mobilitazione (10-15 ottobre) contro l’ormai famigerato Trip, l’accordo di libero mercato fra Usa e Ue, che molti iniziano a conoscere. Ma il suo gemello che comprende, in modo molto ambizioso, 12 paesi del Pacifico, era rimasto quasi sconosciuto.

Si tratta di uno dei più ambiziosi trattati di free market mai tentati, la cui estensione sfida la dizione abituale di «’accordo regionale»: Paesi differenti per sistemi di governo, profilo produttivo, lingua e culture, dislocati su tre continenti, che da soli rappresentano circa il 40% del Pil mondiale. Importante anche per le sue conseguenze, tanto che Medici Senza Frontiere lo ha qualificato come «più dannoso accordo di sempre contro la salute globale». E non c’è da stupirsene se una ricerca ha valutato che una più dura difesa della proprietà intellettuale farebbe lievitare il prezzo dei farmaci – facendo balzare per esempio il costo degli antiretrovirali (medicinali per l’AIDS) a persona da 100 a 10mila dollari…

Sui testi del Trattato vige la solita cortina di (assai democratica) segretezza. Aspettando che almeno per la ratifica il testo finale lo tirino fuori, abbiamo avuto grazie a Wikileaks le bozze inerenti la proprietà intellettuale, l’ambiente e gli investimenti. Per i servizi finanziari è trapelata la parte di un altro, misteriosissimo accordo, dedicato ai servizi (Tisa); in essa si legge chiaramente la volontà di liberalizzazioni ulteriori del settore. Non avendo i testi del capitolo corrispondente del Tpp non c’è la prova che le sue disposizioni siano simili, ma ci sono parecchi, e pesanti indizi, in tal senso. La pagina dedicata a tale Trattato sul sito del ministero canadese per gli Affari esteri, Commercio e Sviluppo non è molto rassicurante. Riassumendo per sommi capi i contenuti, esso afferma che comporta «protezione dei servizi finanziari contro l’espropriazione e le limitazioni sulla possibilità di trasferimento di capitali»; «limiti al trattamento regolatorio discriminante», «obblighi di limitare barriere e all’entrata ed espansione», «requisiti dei sistemi regolatori di apertura a nuovi servizi finanziari». Insomma ogni possibilità di repressione finanziaria verrà esclusa e soggetta a contromosse. Ma è interessante il modo: «stabilendo un Comitato dei Servizi Finanziari, che costituirà una sede per discussioni correnti e collaborazioni, e per aiutare a promuovere un maggiore commercio nei servizi finanziari»; e «stabilendo una cornice giuridica per la risoluzione delle controversie, tarata sui servizi finanziari, che assuma la specificità delle relative dispute».

Il significato di tale Comitato è poco chiaro ma si intuisce: le decisioni più importanti verranno spostate dalle sedi istituzionali ad un opaco organo dominato da tecnici e lobbisti finanziari. L’ultima parte invece è molto chiara: si tratta della possibilità che gli Stati vengano trascinati davanti ad una giurisdizione arbitrale se si azzardano a mettere qualche paletto regolativo (proibizione dei prodotti finanziari più tossici, vincoli sui capitali e simili). Se qualcuno si sente rassicurato da tutto ciò non sono certo i lavoratori e i cittadini.