I riti, si sa, vanno rispettati, anche – o soprattutto – quando si ha alle spalle un periodo di intense turbolenze, com’è stato il caso sia per il Salone del libro di Torino sia per l’Associazione italiana editori (si parla ovviamente del lungo Sturm und Drang per la nomina della nuova direzione che ha infine portato alla scelta di Annalena Benini a partire dall’anno prossimo, e della recentissima farsa sulla presenza di Carlo Rovelli alla Buchmesse 2024). E così, tra i primi appuntamenti della fiera torinese nell’ultima edizione capitanata da Nicola Lagioia, non poteva mancare il tradizionale incontro sull’andamento del mercato del libro, fissato per domani mattina alle 10.30 in Sala Blu). A organizzarlo è come sempre l’Aie che – di nuovo come sempre – ha anticipato nei giorni scorsi alcuni dati. Nulla di sconvolgente, per la verità: a quanto pare tra gennaio e aprile di quest’anno l’editoria italiana di varia (dove per varia si intendono tutti quei titoli – romanzi, saggi, poesia, fumetti e via dicendo – che si vendono in una normale libreria) ha mantenuto più o meno gli stessi livelli del 2022, con una piccola flessione nel numero di copie vendute (-1,2%).

Eppure, non si può proprio parlare di calma piatta nel mondo del libro, né in Italia né altrove. All’inizio del mese la rivista specializzata britannica The Bookseller ha ospitato un giro di opinioni sulla situazione dentro le case editrici del Regno Unito, e il quadro che ne viene fuori mette in luce problemi comuni anche da noi. Colpisce in particolare la dichiarazione anonima di un redattore che contesta l’opinione corrente secondo cui gli editori avrebbero a disposizione risorse minori rispetto al passato: le difficoltà c’erano anche prima («più di dieci anni fa, quando ho iniziato a lavorare nel settore dell’editoria, io e i miei colleghi eravamo abituati a iniziare presto e a finire tardi, e lavoravamo regolarmente nei fine settimana»), ma effettivamente qualcosa è cambiato: «Oggi più che mai si ha l’impressione che dall’alto si spinga per aumentare il volume di vendita, ma spesso si tratta di più per meno: più libri senza che aumentino le spese per la promozione; più produzione ma senza prevedere un budget maggiore per la qualità editoriale e per il design; più autori ma senza che ci siano le risorse per garantire che questi autori vengano seguiti come si deve».

Il punto – chiarisce ancora l’anonimo redattore (o redattrice) – è che «in un panorama in cui gli anticipi e il prezzo dei libri stanno scendendo, diventa sempre più problematica, in particolare per gli autori, l’idea che se c’è un titolo che riesce a diventare un bestseller, non importa se tutti gli altri non lo saranno». O in altri termini, «butta più che puoi contro il muro, qualcosa resterà appiccicato», e tanto peggio per chi finisce per terra. Sono parole su cui molto probabilmente si troverebbero d’accordo molti redattori e molti autori anche in Italia: sovraccarichi di lavoro i primi, abbandonati a loro stessi i secondi. A Torino se ne parlerà?