La decisione la hanno presa Giorgia Meloni e Matteo Salvini, da soli e a porte chiuse. Non quella sul come votare in materia di riforma del Mes: lì i dubbi, se mai ce ne sono stati, li ha dissipati il leghista con il suo secco «Non la possiamo approvare». Una posizione che non lasciava margini alla premier, peraltro già radicalmente ostile di suo alla ratifica: in nessun caso avrebbe potuto passare per accomodante con la Ue al punto di votare a braccetto col Pd e con la Lega contro. Il quesito era se votare subito o rinviare ancora come chiedeva con insistenza Fi. Salvini di certo ha premuto molto, ma la premier si è fatta convincere senza sforzo.

«È UNA RITORSIONE dopo aver piegato la testa sul Patto di stabilità e ciò danneggia la credibilità dell’Italia», attacca Elly Schlein. È probabile che la resa sul Patto c’entri davvero molto con la scelta di far saltare il banco sul Mes. Ma più per la necessità di nascondere quel cedimento secco che come rappresaglia. In ogni caso, una volta rotti gli indugi, l’esito era già scritto. Sia la maggioranza che l’opposizione si sono divise. FdI, Lega e M5S hanno votato contro, Pd e centristi a favore, Forza Italia, Avs e Noi Moderati astenuti. Conclusione: 184 no contro 72 sì e 44 astensioni hanno sepolto la riforma già approvata da tutti i Paesi dell’Unione tranne l’Italia. Non se ne riparlerà prima di sei mesi, a elezioni europee celebrate, e anche quella è un’eventualità remota.

Per i partner europei è una doccia fredda e un’amara sorpresa. Il ministro dell’Economia Giorgetti aveva assicurato ai colleghi responsabili delle Finanze, nell’ultimo Ecofin prima di quello eccezionale di due giorni fa, che una volta raggiunto l’accordo sul Patto di stabilità il semaforo verde sul Mes sarebbe arrivato a strettissimo giro. Formalmente dunque non avrebbero dovuto esserci problemi, avendo l’Italia accettato l’accordo sulle nuove regole proposto da Francia e Germania, con tanto di applausi del ministro: «L’Italia ha ottenuto moltissimo». La realtà è diversa. All’Italia è stato concesso poco, la ratio del Patto è opposta a quella della proposta iniziale della Commissione, rigorista e rigida invece che flessibile. L’accordo è stato a due, non a 27, e contrattato dai due Paesi-guida con sul piatto della bilancia mercanzie che con le regole fiscali c’entrano ben poco, in particolare il semaforo verde per gli aiuti europei al nucleare francese considerato «energia pulita».

Giorgia Meloni al Senato foto LaPresse
Giorgia Meloni al Senato foto LaPresse

TUTTO VERO, MA RESTA il fatto che formalmente, una volta ingoiato il Patto, l’Europa si aspettava che l’Italia onorasse l’impegno assunto da Giorgetti. Da Bruxelles la brutta notizia è stata accolta con un silenzio glaciale. Parla il presidente dell’eurogruppo Donohoe e dice il meno possibile: «Sono rammaricato». Poco dopo lo segue, adoperando lo stesso termine, il presidente del Mes Gramegna. Ma è difficile, anzi impossibile, credere che un simile strappo resti senza conseguenze. Anche per questo, pur mantenendo un silenzio doveroso trattandosi comunque di una scelta del parlamento, il capo dello Stato è a dir poco assai preoccupato.

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Palazzo Chigi scarica le responsabilità, «Ci eravamo rimessi al parlamento», e soprattutto minimizza. La riforma serviva a estendere i meccanismi di salvataggio alle banche in difficoltà, mentre per gli Stati restano comunque in vigore le regole del “vecchio” Mes. Per l’Italia non è un problema: «Il nostro sistema bancario è tra i più solidi in Europa e in Occidente». Dal punto di vista delle ricadute a breve sui mercati la linea di palazzo Chigi è fondata. Oggi in Europa nessun sistema bancario scricchiola pericolosamente e i mercati guardano all’oggi, non al domani. Nel mare dello spread si registra calma piatta: 161 punti. Sul piano politico le cose stanno diversamente e non solo perché l’Italia avrà in futuro a che fare con una Ue inviperita. L’urto del voto di ieri sposta il baricentro dell’Unione verso un indirizzo poco comunitario e molto competitivo, con piena soddisfazione dei sovranisti sia scoperti che mascherati.

Matteo Salvini
Vittoria grazie alla Lega. Ora pensionati e lavoratori italiani non dovranno più pagare il salvataggio delle banche straniere

SALVINI, CHE TRASUDA soddisfazione come tutta l’ala più antieuropea della Lega, da Borghi a Bagnai, esulta: «Ora pensionati e lavoratori italiani non dovranno più pagare il salvataggio delle banche straniere». È esattamente la stessa logica in base alla quale la Germania frena l’Unione bancaria invocata dall’Italia: i tedeschi non dovono pagare per le banche italiane. Una sagra del sovranismo. Dalla partita sul Patto di stabilità, di cui il voto italiano sul Mes è stato l’epilogo, la Ue non esce affatto più forte. E neppure migliore.