Lo show con l’annuncio della sospensione (e deferimento ai probiviri) di Emanuele Pozzolo, il deputato di Fdi con la pistola, era stato preparato nei dettagli, con annessa tirata ai suoi parlamentari e dirigenti: «Non sono disposta a fare questa vita se le persone che sono intorno a me non capiscono che la responsabilità che abbiamo addosso. Mica me le posso prendere solo io, e su questo intendo essere rigida». Giorgia Meloni alza la voce, lo sparo di Capodanno l’ha fatta infuriare parecchio ma è anche l’occasione per ribadire ai suoi che la ricreazione è finita. Davanti a decine di giornalisti, Meloni si presenta puntuale alla conferenza stampa di fine anno due volte rinviata per motivi di salute: «Spero non penserete che io volessi scappare, mai l’ho fatto nella vita…».

HA DECISO LEI DI SCARICARE il deputato di Vercelli a reti unificate, e cosi è stato. Ma sulla scarsa qualità (eufemismo) della classe dirigente di Fdi alza le spalle: «Su questo proprio non vi seguo, io il mio partito lo conosco bene e ho stima dei militanti…». Sulle nostalgie di Pozzolo per il Ventennio neanche una parola. Guarda caso il tono della voce si alza solo in un’altra occasione, quando le viene ricordato di avere un partito a conduzione familiare. «Questa accusa di familismo comincia a stufarmi: in Parlamento ci sono due coppie di coniugi, e stanno nel Pd e Sinistra italiana. Succede che nella militanza ci si incontri e ci si innamori, nessuno li ha mai accusati per questo e neppure io. Mia sorella Arianna è militante da 30 anni, potevo metterla in una partecipata statale e invece l’ho messa a lavorare nel partito “mio”».

L’uso del pronome possessivo fa il paio con la prima persona plurale utilizzata per rispondere all’accusa di aver fatto della Rai «TeleMeloni»: «Stiamo cercando di portare un riequilibrio: la sinistra col 18% aveva il 70% della Rai, durante il governo Draghi eravamo l’unica opposizione e neppure un consigliere della tv pubblica. Io ho pagato moltissimo, quelli di Fdi andavano in onda la notte». Non c’è imbarazzo: il riequilibrio in tv lo fa lei. Da qui discende l’accorata difesa di Paolo Corsini, il direttore approfondimento Rai che ad Atreju parlava del «nostro partito» e attaccava Schlein: «Sapete quante volte sono stata criticata da giornalisti Rai? Volete la regola che un dipendente Rai non possa più parlare di politica?». Nel riequilibrio c’è anche la norma bavaglio contestata dalla Fnsi (assente per protesta): «Macché, è una legge equilibrata e poi mica l’ho voluta io».

IL LEIT MOTIV DEL VITTIMISMO è il filo rosso, pardon nero, dell’intera mattinata. «Amato teme che l’Italia finisca come l’Ungheria? Se il problema è che questo Parlamento deve eleggere 4 giudici della Corte costituzionale capiamoci: in Costituzione non c’è scritto che devono essere scelti dal Pd. La democrazia vale per tutti». E poi sbuffando: «Il mondo in cui la sinistra aveva più diritti degli altri è finito, finito!».

Concetto ribadito anche quando parla del giudice della Corte dei Conti Marcello Degni, sotto accusa per un post in cui incitava l’opposizione far «sbavare» la maggioranza sulla legge di Bilancio: «Mi ha colpito la sua sfrontatezza nel pensare che fosse normale nel suo ruolo scrivere quelle cose, e il silenzio a sinistra da Schlein e Gentiloni: questa mentalità ha devastato le istituzioni». Segue postilla: «Non è mio interesse costruire un sistema di potere fatto da militanti in ruoli di garanzia». Chissà.

IL CONCETTO TORNA E RITORNA per le quasi tre ore dell’incontro: «Ora decido io, non sono ricattabile nè influenzabile». E riguarda anche i rapporti con i partner europei. Sul no al Mes gliela faranno pagare? «L’Italia non ha meno diritti degli altri, quando i francesi hanno bocciato la Costituzione Ue nessuno ha pensato di farla pagare a Chirac. Noi non contiamo di meno e poi era obsoleto!». Sulle future alleanze, non si chiude tutte le porte: «Non starò mai in una maggioranza con la sinistra».

Ma sulla nuova commissione, se sarà sullo schema Ursula (o proprio un bis di von der Leyen), Fdi potrebbe dare un voto favorevole all’inizio a Strasburgo «come fecero i polacchi del Pis nel 2019». Ma solo se il commissario italiano sarà da lei gradito. Di più non farà. Si esporrebbe alla concorrenza a destra di Salvini, alleato con Afd e Le Pen. Con i tedeschi di estrema destra, dice, «le distanze sono insormontabili», ma sul rapporto con Putin, mica per le nostalgie naziste. «Le Pen invece sta facendo un ragionamento interessante…».

PER GLI ALLEATI HA SOLO buone parole: «Un ottimo rapporto, quando abbiamo un problema, ne parliamo finché non abbiamo risolto. Alle europee non ci faremo la guerra, sulle amministrative troveremo un accordo, auspico in fretta (in Sardegna pare che il candidato sarà il suo Paolo Truzzu)». «La compattezza di una maggioranza si vede soprattutto dalla velocità con cui prendiamo le decisioni, come si è visto sulla manovra…». Brusio in sala: «Voglio dire la velocità con l’abbiamo varata in consiglio dei ministri».

Per il capo leghista ha parole al miele anche sull’inchiesta Anas: «Salvini non viene chiamato in causa e quindi non ritengo che debba riferire in aula su questa materia: l’inchiesta riguarda il precedente governo, l’unica tessera di partito di Tommaso verdini è quella del Pd». Non è esatto, ma alla premier poco importa: l’obiettivo era coprire politicamente l’alleato. E del resto, a Conte che le chiede di far dimettere ministri o sottosegretari indagati, risponde: «Da noi non c’è nessuna questione morale, Conte chiede le dimissioni di tutti tranne che dei suoi e la sua vice (Appendino, ndr) è condannata anche in appello. Non mi faccio dare lezioni dalla sinistra».

MELONI NEGA ANCORA una volta che il suo premierato tolga poteri al Quirinale: «Si crea equilibrio e si dà più stabilità ai governi». «Il referendum non sarà su di me, io sono il presente e si voterà sul futuro». Sulla giustizia (separazione delle carriere) la premier pensa a un secondo referendum: «Meglio non mischiare le questioni, la gente non capisce». Sulla lettera di Mattarella sui casi balneari e ambulanti cerca un difficile equilibrio con l’oltranzismo di Salvini: «L’appello del presidente non rimarra inascoltato, valuterò con gli altri partiti di maggioranza. L’obiettivo è una norma di riordino che consenta di intervenire sulla attuale giungla, in un confronto con la Commissione europea e con gli operatori, per evitare l’infrazione e per dare certezza». Evitare la procedura di infrazione, con le relative maxi multe, dunque. Ma Meloni non dice come procederà, e si limita a citare la mappatura della coste per verificare il principio della «scarsità del bene» al cuore della direttiva Bolkenstein. E non difende il Capo dello Stato dagli attacchi scomposti del Carroccio.

Sono quasi le 14, la premier chiede permesso per andare alla toilette: «Scusate, sto a morì». C’è tempo per un’ ultima battuta contro la sinistra: «Ho criticato Chiara Ferragni, hanno reagito come se avessi toccato Che Guevara…». Una sfida tv con Elly Schlein? «Sarebbe giusto farlo prima delle europee». Lei pensa di candidarsi, spera che lo faccia anche la leader Pd: un anticipo di premierato.