Nel colloquio con un Giuseppe Conte reduce dalla durissima trattativa di Bruxelles, Sergio Mattarella esprime «apprezzamento e soddisfazione» per l’esito del vertice. Quel risultato «rafforza il ruolo dell’Unione» e crea «condizioni proficue per l’Italia». Invoca infine, ora che i soldi ci sono, «interventi rapidi, concreti ed efficaci».

È il Quirinale stesso a farlo sapere con una nota informale e il fatto è tanto poco usuale da rivelare l’intenzione precisa del capo dello Stato. Con quel messaggio il presidente mirava a indirizzare le reazioni del mondo politico e in particolare della maggioranza. Entusiasmo ed europeismo, senza perdersi nella disanima dei particolari e senza concentrarsi sui limiti dell’accordo, che pure ci sono, sia sul fronte europeo, con quel taglio drastico dei fondi comunitari per Clima, Ricerca e Sanità, sia su quello italiano, dove i controlli saranno stringenti.

L’indicazione del Colle sembra funzionare. Nella maggioranza è tutto un peana all’impresa epica del capo del governo, che oggi riferirà in parlamento.

Nell’opposizione solo Salvini spara ad alzo zero, «una fregatura», mentre Fi sventola bandiere europeiste e Giorgia Meloni calibra la posizione col bilancino: «Conte è uscito in piedi ma poteva e doveva andare meglio». Conte è tornato da Bruxelles con una valigia piena di euro e questo è quello che conta. Tanto più che, segnala il ministro dell’Economia Gualtieri, nell’accordo figura un anticipo del 10% che potrà essere usato sempre a partire dal 2021 ma senza dover prima passare l’esame della Commissione e con facoltà di coprire le spese a partire dal febbraio scorso. Non basta per sciogliere l’eterno nodo del Mes, che rischia di essere ancora indispensabile per la spesa corrente, ma almeno lo depotenzia.

Come prevedibile, il Mes è la sola nota stonata, per Conte, nel coro trionfale che lo accoglie a Roma. «Spero che il Piano possa distrarre l’attenzione morbosa che circonda il Mes, che non è un nostro obiettivo», dichiarava dopo la conclusione dell’accordo. Speranza vana. Zingaretti, Renzi, ma anche Berlusconi martellano proprio su quel prestito disponibile subito e che dunque non si può rifiutare. I 5S invece fanno ancora muro, rinvigoriti dalla pioggia di miliardi in arrivo.

È una polemica che preoccupa il Colle. Non per il Mes in sé, ma per i toni ancora venati di diffidenza nei confronti dell’Ue. Mattarella ha le idee chiare. Un governo così fragile ha un solo cemento a disposizione: muoversi in sintonia con il tentativo di Germania e Francia di rifondare l’Europa, proporsi come sponda priva di incrinature di una Ue in via di trasformazione. Probabilmente Conte la pensa allo stesso modo. Deve all’Europa non solo la successione a se stesso dell’agosto scorso ma anche, ora, un’occasione d’oro per blindare la sua maggioranza, trasformarla in qualcosa che somigli a una coalizione, mettere all’angolo la destra segnalando che, se al potere ci fossero stati i sovranisti, oggi l’Italia dovrebbe vedersela da sola con una crisi di portata devastante. Sempre l’europeismo, infine, gli offrirebbe il terreno per costruire con Fi un’area trasversale, senza improbabili ingressi degli azzurri nella maggioranza ma attraverso una sorta di dialogo privilegiato.

Il problema è che Conte sa di doversela vedere con un M5S in cui le pulsioni opposte sopravvivono in quantità e nel quale le bande l’una contro l’altra armate non chiedono di meglio che di poter cavalcare un svolta eccessivamente europeista per azzannarsi. Dunque è costretto a frenare, nonostante la spinta precisa e decisa del Colle. Inoltre la sua tattica per contenere le spinte centrifughe nella maggioranza è sempre stata dire sì a tutti, accumulando progetti senza mai scegliere. Opzione resa ora impraticabile dall’obbligo di presentare a Bruxelles un piano.

Non è un problema ma il problema per eccellenza. Ora i soldi ci sono: tutto sta a saperli spendere presto e bene. Ma per questo ci vuole una maggioranza dotata almeno di un certo grado di coesione e capace di condividere un disegno strategico. Sinora non se ne è vista neppure l’ombra ma le cose, sempre grazie ai copiosi fondi della Ue, potrebbero cambiare. Lo si scoprirà presto: quando il Parlamento dovrà convertire quel dl Semplificazioni sul quale, nonostante l’approvazione «salvo intese», non c’è uno straccio di accordo.