Non riuscivano a chiederglielo. Forse non dovevano neanche chiedergli di accettare e certamente lui era pronto. «Gli abbiamo rappresentato la volontà della larga maggioranza del parlamento», racconta il capogruppo dei deputati di Leu Fornaro. Tutti i capigruppo di maggioranza sono saliti al Quirinale ieri pomeriggio. Ma non è stato il remake del 2013 quando Bersani, Berlusconi e Monti andarono da Napolitano a pregarlo di accettare quel reincarico che appena la settimana prima aveva definito «al limite del ridicolo». Ieri dal capo dello stato uscente e rientrante non sono andati i capi partito, ma i rappresentanti del parlamento che da mercoledì aveva cominciato a votarlo sul serio: 125, 166, 336, 387 voti. Mentre i capi partito persi nelle trattative indicavano scheda bianca, concedevano la «libertà di coscienza» (M5S) o mettevano le sentinelle perché i grandi elettori non si fermassero troppo tempo nel seggio (Pd).

Ieri i voti sono diventati 759, una maggioranza che sarebbe stata sufficiente a eleggere Mattarella già nella prima votazione. Mancano una cinquantina di voti di centrodestra. Ma è comunque il secondo risultato nella storia dei presidenti della Repubblica, dopo quello di Pertini nel 1978 (832 voti) e prima di quelli di Cossiga nel 1985 e Napolitano nel 2013, l’altro bis.

Nella sala degli arazzi di Lilla, anticamera dello studio del Quirinale dove il presidente fa le consultazioni, alle 15.30 la delegazione della maggioranza si sistema su due file: senatori da una parte e deputati dall’altra. Parla per prima la senatrice M5S Castellone, per una lunga premessa. Non arriva al punto. Interviene poi il deputato di Forza Italia Barelli (i leghisti, a cui pure toccherebbe visto che hanno un gruppo più grande, tacciono con lo sguardo basso), cita gli scatoloni del presidente «siamo consapevoli che lei ha espresso un diverso convincimento, ma…». La senatrice di Leu capogruppo del misto De Petris riassume con un gesto di preghiera che Mattarella coglie. Taglia corto il presidente: «Avevo altri programmi ma sono sempre rispettoso del parlamento». A sera dice di più dopo aver ricevuto i presidenti di camera e senato che gli comunicano l’elezione: «Ringrazio il parlamento e i delegati regionali per la fiducia. I giorni difficili di questa elezione nel corso dell’emergenza richiamano al senso di responsabilità e impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati. Devono prevalere – conclude – su altre considerazioni e prospettive personali differenti».

La richiesta al presidente era arrivata al mattino, quando il calendario istituzionale lo ha messo di fronte al presidente del Consiglio e ai presidenti di senato e camera Casellati e Fico, lei vestita di bianco. Il giuramento del nuovo giudice costituzionale Patroni Griffi doveva essere l’ultimo impegno di Mattarella, Mario Draghi ne approfitta per trattenersi una mezz’ora con lui. È proprio Draghi, che undici mesi fa fu chiamato in servizio dal capo dello Stato, a chiedergli adesso di restare e a sentire poi i leader della maggioranza. Per quest’anno non cambiare.

Mattarella ritorna presidente alle otto e venti di sera. In quel momento la conta dei voti in aula arriva a quota maggioranza assoluta e cinque minuti di applausi bloccano la lettura delle schede. Letta scambia il cinque con i deputati, altri si abbracciano. Di Maio entra un po’ in ritardo dopo essere stato festeggiato, lui, dai grillini in Transatlantico. Stretta di mano con Brunetta. Tutti applaudono Mattarella per applaudire anche (soprattutto) se stessi. Per raccontarsi come i vincitori. Anche quelli che nei giorni scorsi avevano voluto allontanare la rielezione ora dicono che è la soluzione migliore. Non solo i leghisti che neanche fingono – Salvini nel momento dell’applauso chissà dov’è – le capriole toccano ai 5 Stelle di rito contiano e alle correnti del Pd.
Le prove per la cerimonia erano cominciate già martedì scorso nella piazza del Quirinale, il giorno in cui Mattarella prendeva ancora 39 voti soltanto. Il giuramento del nuovo e vecchio presidente coinciderà con il termine del suo primo mandato, 3 febbraio. Non farà rampogne al parlamento come

Napolitano, il suo è uno stile diverso, sempre sereno, e poi c’è la pandemia che tutto giustifica. Ma davanti alle camere riunite Mattarella non potrà fare a meno di richiamare le sue ripetute esternazioni contro il reincarico. Le sue citazioni dei messaggi alle camere di Antonio Segni nel 1963 e di Giovanni Leone nel 1975 che chiedevano entrambi una riforma costituzionale per introdurre il divieto di secondo mandato e l’abolizione del semestre bianco. Al senato c’è già un disegno di legge di revisione costituzionale firmato dai Pd Parrini e Zanda. Il settennato comincerà con un nuovo appello alla riforma. Mentre ormai una maggioranza del parlamento dichiara di volere l’elezione diretta del capo dello Stato, anche questo settennato comincerà con un appello alle riforme. Se sarà davvero un settennato dipenderà anche da queste.

Errata Corrige

Cinque minuti di applausi e 759 voti. Sergio Mattarella è di nuovo presidente alla fine di una settimana che lascia sul campo coalizioni lacerate e leader azzoppati. «Avevo altri piani, prevale il senso di responsabilità». Giovedì il giuramento. Draghi: «Bella notizia»