Puntuale e tanto previsto da non fare quasi notizia è arrivato il secondo passo verso la procedura d’infrazione della Ue ai danni della reproba Italia. L’Efc, che riunisce gli sherpa dei 28 ministeri delle Finanze, ha dato parere positivo alla richiesta della commissione di avviare la procedura. La parola passerà lunedì all’Eurogruppo, e anche in quel caso la suspense è inesistente. La commissione preparerà quindi le sue «raccomandazioni», che potrebbero essere inoltrate già il 19 dicembre. La manovra a quel punto non ci sarà ancora, dal momento che il parlamento non l’avrà ancora licenziata nella sua versione definitiva. La richiesta di correzione invece sì.

IN REALTÀ L’INTERVENTO del parlamento, al quale si è richiamato con la dovuta solennità il ministro Tria, sarà, se non inesistente, molto limitato. Di tempo ne è rimasto poco. Lunedì la manovra arriverà nell’aula della Camera, il giorno dopo dovrebbero iniziare le votazioni per concludersi venerdì, con tanto di eventuali sedute notturne. Però non è esclusa la fiducia, dovuta in questo caso più alla necessità di fare presto che a quella di blindare il testo. Tra passaggio al Senato, modifiche, terza lettura di Montecitorio, tempi tecnici per le necessarie bollinature, le camere arriveranno al varo della manovra all’ultimo respiro. Le possibilità di approfondire e modificare significativamente sono già ridotte all’osso. Poco male. L’insistenza sulla sovranità del parlamento, costituzionalmente sacrosanta, è adoperata dal governo solo per prendere tempo nella estenuante trattativa con Bruxelles, certo non perché venga presa in considerazione la possibilità che lo stesso parlamento modifichi la legge, se non su mandato preciso del governo stesso. La commissione e l’Eurogruppo lo sanno perfettamente. Per questo accelerano sui tempi anche a costo di una palese forzatura formale.

Nella manovra che approderà alla Camera ci sarà di certo il pacchetto famiglia promesso dal ministro Fontana. L’emendamento dovrebbe infatti arrivare in commissione bilancio, che procede nelle votazioni a oltranza, entro questa settimana. Potrebbe esserci anche quota 100, anche se è più probabile che l’emendamento destinato a chiarire alcuni dei misteri della manovra, la platea interessata dalla revisione della Fornero e le condizioni per accedervi, verrà presentato durante il passaggio al Senato. Quel che pare già certo è che i costi saranno inferiori ai 6 miliardi, mentre sinora era previsto un saldo di 6,7 miliardi, e che la riforma partirà non da aprile ma da febbraio, cancellando così la possibilità di risparmiare facendo slittare le finestre.

IL PROVVIDENZIALE risparmio sulle pensioni dovrebbe comunque dare una mano al premier Conte, impegnato nella trattativa a Buenos Aires prima con Moscovici, poi con Juncker. La percentuale della discordia è sempre quella del deficit: la commissione esige che venga portato dal 2,4% al 2%. Salvini ieri ha aperto una finestra ma ne ha chiusa un’altra. «Il deficit al 2,4% non sta mica scritto nella Bibbia», ha constatato. In effetti quella percentuale non figura nel libro sacro, però in numerose dichiarazioni tassative del medesimo vicepremier sì. Però quando gli hanno chiesto se si poteva discutere su una diminuzione superiore a due decimali ha scosso sdegnato la testa: «No, no». Ma nemmeno quel «No, no» è scritto nella Bibbia.

Tria, giustamente infastidito dall’ormai delirante balletto delle cifre, rifiuta di commentare le sentenze di Salvini: «I numeri si fanno in trattativa». Ma l’incognita M5S confonde le acque non sull’esito ma sullo stesso avvio della succitata. «Il tema non sono i decimali: io credo nel dialogo con la Ue ma senza tradire gli italiani», svicola Luigi Di Maio che, a differenza di Salvini, non si è mai ufficialmente detto pronto a rivedere i saldi. Che sul tema i soci non la pensino allo stesso modo è evidente, e il leghista ci ha tenuto a specificare che anche sul reddito di cittadinanza «ci saranno paletti: saranno pochi a prendere l’intera cifra».

COSÌ TRA AMBIGUITÀ, paradossi come quello che obbliga il parlamento a discutere una legge di bilancio dai confini incerti e divisioni nella maggioranza la «manovra del popolo» si è già trasformata in una palude. Con tanto di sabbie mobili.