Appena concluse le elezioni amministrative, per il governo arriva il momento più delicato dell’anno: la presentazione della manovra. Ieri Mario Draghi ha impresso una accelerazione. Il Documento programmatico di bilancio (Dpb) con la griglia delle principali misure e le voci di spesa dovrebbe arrivare oggi in Consiglio dei ministri per essere poi notificato a Bruxelles. Nel giro di qualche giorno è atteso invece l’articolato della manovra vera e propria da trasmettere alle Camere per l’avvio della sessione di bilancio che quest’anno parte dal Senato.

Già ieri gli incontri dei singoli Capi delegazione accompagnati dai responsabili economici di partito si sono svolti con lo staff di Palazzo Chigi e con il ministro dell’Economia Daniele Franco. Oggi invece, prima del consiglio dei ministri, il premier dovrebbe convocare la cabina di regia per trovare la quadra tra interventi e risorse.

DUE I GRANDI TEMI di discussione e divisione nella maggioranza: il ridimensionamento del Reddito di cittadinanza e il post-Quota 100 sulle pensioni. Meno divisivi gli altri due grandi capitoli: le coperture per la riforma degli ammortizzatori e l’anticipo degli interventi fiscali con il taglio del cuneo fiscale. In totale la manovra si aggira sui 25 miliardi.

Per quanto riguarda il Reddito, cavallo di battaglia del M5S, la proposta di Draghi è quello di mantenerlo ma rivisto e migliorato per limitarne gli abusi. Da qui l’ipotesi di una revisione dei paletti per l’accesso rafforzando il versante delle politiche attive per il lavoro, uno snellimento della platea e una redistribuzione del beneficio possibilmente intervenendo sul paradosso che vede meno avvantaggiate le famiglie numerose. Da parte del M5s è stato fissato un limite invalicabile: l’assegno mensile del Reddito non potrà scendere sotto i 500 euro per i single.

Il capitolo pensioni è invece il più complicato per il governo. La fine del flop triennale Quota 100 provocherebbe il ritorno quasi completo alla riforma Fornero: in pensione si andrebbe con 67 anni di età o oltre 43 di contributi. Si fa un gran parlare di «scalone»: il salto di 5 anni che si troverebbero ad affrontare le persone che dal primo gennaio 2021 avrebbero potuto usufruire di Quota 100 con 62 anni e 38 di contributi. In realtà si tratterebbe di un numero di persone poco rilevante mentre è molto più grave l’effetto su tutti i lavoratori attuali del ritorno dei criteri voluti dal governo Monti nel 2011 su età e assegno.

L’OCCASIONE PER UNA RIFORMA reale dei criteri di pensionamento introducendo flessibilità in uscita – i sindacati chiedono dai 62 anni – e di pianificazione di una «pensione di garanzia contributiva» per garantire a chi è stato colpito dalla precarietà e ha buchi contributivi un assegno dignitoso è invece molto improbabile.

Dei 3 milioni che il governo conta di stanziare per il capitolo pensioni – meno di un ottavo del totale – ben 2 saranno assorbiti da un allargamento a 26 nuove categorie dell’Ape social, l’anticipo pensionistico per le categorie che fanno lavori gravosi. E dunque anche questa volta la Fornero resterà con tutto il suo carico di austerità e ingiustizia sociale che colpisce in primis le donne e, appunto, i precari.

ANCORA PIÙ INTOLLERABILE sarebbe il meccanismo cosiddetto Quota 102 – 64 anni di età e 38 di contributi – per due anni voluto dalla Lega di Salvini e che ieri alcune «veline» consideravano gradito al governo: sarebbe un ulteriore spreco di soldi con impatto limitatissimo sui milioni di lavoratori che avrebbero tutto il diritto di andare in pensione.