Il primo a smentire è Di Maio, Salvini segue da presso, alla fine Conte, da Salisburgo, posa la pietra tombale: non ci sarà nessun aumento parziale dell’Iva: «Ipotesi mai contemplata». Poco dopo arriva di rincalzo anche il ministro dell’Economia: «Ho sempre detto che bloccheremo l’aumento dell’Iva».

Nessun vertice del governo aveva in effetti mai preso in considerazione l’idea. Lo avevano però fatto i tecnici del Tesoro, su input dello stesso Tria, che del resto aveva già caldeggiato l’idea, in veste di semplice economista, prima di arrivare alla guida del Mef. La voce è trapelata, la proposta non ha fatto neppure in tempo a essere ufficializzata.

POCO IMPORTA QUANTO utile potesse rivelarsi per un Mef che non sa dove trovare le coperture per le riforme. Le ragioni della politica sono diverse da quelle del bilancio e politicamente un aumento dell’Iva su alcuni beni è visto come una catastrofe. Per il leader verde e per quello giallo non se ne parla nemmeno.

Capitolo chiuso ma il problema delle coperture resta. Rispondendo al question time al senato, Tria si trincera dietro la prudenza. Il reddito di cittadinanza, conferma, ci sarà. Come anche l’intervento sulle pensioni. Però «sono in corso approfondimenti sulla misura e sulla definizione della platea dei destinatari». Tra i quali, stando al ddl presentato da M5S nella scorsa legislatura «ci sono anche gli stranieri, residenti dei paesi Ue o anche di paesi terzi con accordi bilaterali».

Ci sarà la «pace fiscale», e non potrebbe essere diversamente perché i soldi da qualche parte devono uscire fuori, però «non sarà un condono». E comunque, sia ben chiaro, tutto avverrà «compatibilmente con l’esigenza di mantenere l’equilibrio di bilancio».

Da Salisburgo Conte suona la stessa musica, ma con minor drasticità. Certo, il rapporto deficit/pil nella Nota d’aggiornamento alla legge di bilancio «darà segno che teniamo i conti in ordine». Ma «senza impiccarsi ai decimali». Solo che il nodo sono proprio i decimali, ed è un nodo che resta aggrovigliato.

IL TETTO FISSATO DA TRIA, al netto di giochi di cifre e trucchi studiati per ingannare l’elettorato, è semplicemente proibitivo, e il ministro è più che mai deciso a difenderlo, forte anche del sostegno di Sergio Mattarella che martedì, nel momento di massima tensione, ha voluto parlare sia con lui che con Conte.

In realtà però il vero scoglio difficilmente sormontabile è politico, non economico.

A conti fatti il braccio di ferro fra Tria e la maggioranza politica riguarda solo mezzo punto percentuale in più o in meno di deficit: in sé il contenzioso con la Ue, e di conseguenza con Tria, sarebbe dunque del tutto tollerabile.

È lo scontro politico che moltiplica il valore di quel mezzo punto, e quello scontro si articola in larghissima parte intorno alla riforma più politica e carica di valore simbolico, dunque meno accettabile da Bruxelles: la revisione della Fornero.

[do action=”quote” autore=”Il ministro Riccardo Fraccaro”]«Serve una manovra espansiva che travalichi alcuni limiti anacronistici. Se nella manovra non c’è il reddito il governo va a casa»[/do]

Le reazioni irritatissime non solo di Di Maio ma anche del solitamente pacato Conte al «veto» dell’Ocse sulla revisione della legge Fornero sono indicative.

PER QUANTO I TECNICI si affannino nelle simulazioni, comunque si giri la quota 100, da 62 anni di età e 38 di contributi a 65 e 35, il costo non scende sotto gli 8 mld.

Salvini, che abbandona per un po’ il vertice del centrodestra per partecipare a quello della Lega sui conti, all’uscita è più prudente del solito. Dice che «inizieremo a smontare la legge Fornero», che suona un po’ come mettere le mani avanti.

Informa che M5S sta rielaborando il progetto di reddito di cittadinanza per tenere fuori gli stranieri ed è particolarmente cauto su Tria: «Essere prudente fa parte del suo lavoro». Però conferma che «restituiremo il diritto di andare in pensione ad alcune centinaia di migliaia di italiani già dal prossimo anno».

Sul cuore della sfida, la legge Fornero, il Carroccio può arretrare un po’, ma non più di tanto.

SE LA LEGA CERCA di tenere i nervi a posto, M5S fatica invece a contenere l’irritazione nei confronti di Tria.

Ieri è sbottato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Fraccaro: «Serve una manovra espansiva che travalichi alcuni limiti anacronistici». Poi, a muso duro: «Se nella manovra non c’è il reddito il governo va a casa».

In queste condizioni è possibile che il fragilissimo equilibrio di governo regga, molto più per forza che per amore, alla prova della legge di bilancio. Ma difficilmente riuscirà ad andare molto oltre.