Luigi Di Maio scoppia d’ottimismo: «Le cose si stanno mettendo molto bene». In effetti annuncia che nella manovra ci saranno tutte le misure pluriannunciate, più investimenti e sgravi fiscali per le aziende, e il tutto costerà molto meno del previsto. Come realizzare il miracolo Di Maio non lo sa e nemmeno gli interessa: quadrare il cerchio è compito del ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il quale Tria, sottolinea l’entusiasta a cinque stelle, a mollare la barca non ci pensa per niente: «Smentisco categoricamente». Il diretto interessato – che mentre la camera vota la fiducia sulla manovra provvisoria (330 sì contro 219) è alla Scala di Milano – conferma, «ipotesi inesistente»: non potrebbe fare altro. Smentita d’ordinanza anche a proposito del suo sms al forzista Renato Brunetta intercettato dall’occhiuto Minzolini, «Non ce la faccio più». Cospirazione della stampa ostile.

MENO SOLARE, ANZI calato nei panni del gufo, Silvio Berlusconi. «La manovra non cambierà e la commissione europea deciderà la procedura», profetizza lapidario. Già che ci si trova corregge anche quel severo giudizio sui 5 Stelle che mesi fa riteneva adatti solo a «pulire i cessi di Arcore». Aveva largheggiato troppo. «Incapaci neppure buoni per lavare i cessi», precisa oggi, stavolta alludendo all’intero governo.

L’ELEMENTO ASSURDO è che, a tre giorni dall’incontro fatidico tra Giuseppe Conte e il presidente della commissione Ue Juncker, la scommessa di Berlusconi potrebbe essere data alla pari. Impossibile dire se l’accordo è dietro l’angolo oppure oltre l’orizzonte. Persino l’incontro resta in forse. A tutt’oggi viene definito «probabile» ma senza data precisa: «In settimana». Non che ci siano dubbi sulla disponibilità ad arretrare sensibilmente del governo che doveva «tirare diritto». In compenso non è affatto chiaro se l’Europa si accontenterà della vittoria o pretenderà una resa umiliante. Il famoso «numerino», cioè il deficit, è soprattutto il riflesso di questa scelta. Se la commissione insisterà per andare sotto il 2% sarà segno che esige la resa incondizionata. In questo caso la squadra gialloverde, che preferirebbe di gran lunga la resa a patto di poterla mascherare agli occhi del popolo votante, potrebbe ritrovarsi costretta a «tirare diritto» per davvero.

Le sorti e la longevità dell’alleanza dipendono in buona parte proprio dall’esito di quella trattativa, nella quale per la prima volta l’Italia non è del tutto isolata. La Polonia di Visegrad ha deciso di appoggiare la manovra italiana. Non fa parte dell’eurogruppo ma è pur sempre il primo e unico Paese a non chiedere la condanna di Roma.

SE L’ITALIA EVITERÀ la procedura in cambio di una resa totale gli effetti destabilizzanti saranno quasi inevitabili: un po’ perché la scarsità di risorse obbligherà i soci contraenti a una guerriglia continua per aggiudicarsi una porzione maggiore dello scarno bottino per la propria riforma di bandiera ma molto anche perché la sfida con l’Europa è il solo elemento comune dei partiti di maggioranza. Più quel collante viene meno, più le differenze emergono e si rivelano incolmabili.
Il rimpasto, che dopo la manovra non sarà procrastinabile a lungo, potrebbe essere il primo passo di una crisi che non tarderà a esplodere. Se invece saranno costretti a fronteggiare le misure europee, Lega e Movimento 5 Stelle dovranno invece cercare di fare quanto più possibile fronte comune. In quel caso, infatti, a rischio di crollo non sarebbe più uno dei due partiti ma entrambi. La richiesta salviniana di rimaneggiare il contratto di governo e la replica di Di Maio, che vuole mettersi all’opera solo dopo il 2019, rivelano che entrambi sanno perfettamente quanto scarse siano le chances di mangiare insieme il panettone, da governanti e soci, l’anno prossimo.

PER ORA COMUNQUE il lavoro sulla manovra consiste soprattutto nel rimediare ai danni fatti quotidianamente. Ieri è stato il turno dei fondi per le famiglie che si prendono cura dei bambini figli delle vittime di femminicidio. Salvini ha assicurato che l’emendamento Carfagna, bocciato dalla maggioranza alla Camera verrà reintrodotto al Senato. Una buona notizia.