Era una delle principali promesse della campagna elettorale che ha portato Emmanuel Macron all’Eliseo: “moralizzare” la vita politica. Ieri, il ministro della Giustizia, François Bayrou (leader centrista del MoDem), che ne fatto “un affare personale”, ha presentato le grandi linee della riforma, che sarà presentata in consiglio dei ministri il 14 giugno, tra i due turni delle legislative dell’11 e 18 luglio, che si tradurrà in tre testi di legge: una riforma costituzionale, per sopprimere la Corte di giustizia della Repubblica (un tribunale speciale per ministri composta di parlamentari) e la nomina degli ex presidenti al Consiglio costituzionale, oltre alla proibizione per i deputati di fare più di tre mandati consecutivi; una legge di moralizzazione, per prevenire i conflitti di interesse, impedire l’assunzione di famigliari, inquadrare le attività di consulenza; infine, cambiamenti profondi nella vita politica, come una pena di ineligibilità di dieci anni per chi viene condannato per corruzione o la fondazione di una Banca della democrazia, per permettere finanziamenti trasparenti dei partiti. Il pacchetto legislativo si chiama “Per la fiducia nella vita democratica” e l’obiettivo è permettere di dissipare la diffidenza tra cittadini e politici, all’origine dello sviluppo dei populismi.

Ma questa offensiva moralizzatrice deve fare i conti con la prima macchia della presidenza Macron: il caso Ferrand. Richard Ferrand, ex socialista (è deputato Ps dal 2012), ora ministro della Coesione territoriale e candidato En Marche in Bretagna, è da giorni al centro di una polemica a causa di un intreccio di interessi privati con cariche pubbliche. Ieri, il tribunale di Brest ha finito per aprire un’inchiesta, dopo una polemica politica sempre più feroce e le prime denunce. Ferrand avrebbe favorito la sua compagna in un affare immobiliare, mentre era presidente delle Mutuelles de Bretagne. Inoltre, come deputato, avrebbe votato une legge che favorisce il sistema delle Mutuelles (mutue complementari), fatto lavorare per qualche mese suo figlio come assistente parlamentare (pratica finora molto diffusa) e mantenuto una consulenza dopo l’elezione. Macron si tiene in disparte dalla polemica. Il primo ministro, Edouard Philippe, ha di nuovo confermato la fiducia in Ferrand e ribadito, ancora ieri, che le dimissioni non sono all’ordine del giorno. “Se fosse incriminato, sarebbe immediatamente dimesso”, ha precisato il portavoce del governo, Christophe Castaner. Per Macron la difficoltà sta nel fatto che Ferrand è stato tra i primi a partecipare all’avventura En Marche ed è uno dei principali dirigenti, il presidente non vuole dare l’impressione di cedere – come ai tempi del contromodello Hollande – alle pressioni della stampa, che moltiplica le rivelazioni, ma al tempo stesso deve tener conto di possibili effetti negativi sul voto delle legislative. C’è anche il caso di Marielle de sarnez, ministra degli Affari europei, che con altri eurodeputati è stata denunciata dal Fronte nazionale, come vendetta nel caso dei collaboratori a Strasburgo. Per il momento, i sondaggi non registrano scossoni, En Marche sembra ben avviato ad ottenere la maggioranza relativa.