Su Tong è uno degli scrittori più importanti nel panorama letterario della Cina contemporanea. Viene considerato uno dei rappresentanti del neorealismo contemporaneo d’avanguardia cinese, nonché uno degli scrittori cinesi più influenti e noti a livello internazionale.

Le sue prime prove narrative sono state pubblicate nel 1983 da alcune riviste cinesi, in particolare Qingchun (Gioventù), Qingnian zuojia (Giovani scrittori) e Xingxing (Le stelle). Nel 1987 pubblica Nineteen Thirty-four Escapes con cui ottiene immediata fama letteraria.

Da quel momento in poi, Su Tong venne considerato dalla critica come il principale esponente del movimento d’avanguardia. Il romanzo breve Mogli e concubine è uno dei suoi capolavori indiscussi, da cui è stato tratto il film Lanterne rosse di Zhang Yimou, Leone d’argento al Festival di Venezia del 1991.

Il film fu candidato al Premio Oscar per il Miglior film straniero nel 1992. Nel 2009, Su Tong vince il Man Asian Literary Prize con The Boat to Redemption, diventando così il secondo scrittore cinese insignito di un premio così prestigioso.

Prima di lui ricordiamo Jiang Rong al quale fu conferito il Man Asian Literary Prize per Il totem del lupo (ed. Mondadori, traduzione di Maria Gottardo e Monica Morzenti) nel 2007. Nel 2011 Su Tong viene nominato per il Booker International Award.

Nel 2015 vince il 9° Mao Dun Literature Award con il romanzo Yellowbird Story. Attualmente è il vicepresidente dell’Associazione degli Scrittori del Jiangsu.

In questi mesi la maggior parte della popolazione mondiale è in quarantena a causa della pandemia in corso di COVID-19. Lei come sta vivendo questi mesi di isolamento? Com’è la situazione a Nanchino?

Non mi posso lamentare. Per noi scrittori l’isolamento è po’ una specie di deformazione professionale. In questi mesi sono impegnato alla stesura di un romanzo. Poi mi posso ritenere fortunato perché ho un giardinetto di cui non mi sono mai occupato in realtà. Adesso invece ho tutto il tempo per essere un buon giardiniere. A dire il vero, qui a Nanchino l’epidemia non è mai stata grave e adesso la vita è praticamente tornata alla normalità. È anche vero che noi cinesi siamo abituati a metterci la mascherina quando usciamo, non ci crea alcuna difficoltà. Sono ancora tante le persone che senza mascherina non escono di casa.

In un momento così difficile, la lettura e la letteratura sono sicuramente utili per la salute mentale umana. Secondo lei, cosa sono la lettura e la letteratura per una persona?

Per la gente comune la lettura, così come la letteratura, non sono certo una necessità. Non sono però neanche un lusso. Sono qualcosa di simile a un supplemento nutrizionale volto a mantenere il mondo spirituale degli esseri umani, ad arricchirlo e a renderlo indipendente. La letteratura ha i suoi alti e bassi. In quanto scrittore auspico che le mie opere e la mia creatività non ristagnino mai. Un proverbio cinese recita “l’acqua che scorre non diventa mai putrida”. Mi piace molto quest’immagine che, a mio avviso, può essere intesa come uno stato ideale della creazione artistica ma anche come il giusto atteggiamento nei confronti della vita. Per me scrivere non è un mero sogno letterario, bensì un segno del flusso del mio esistere.

Cosa significa scrivere in Cina al giorno d’oggi?

Oggi, così come in passato, scrivere in Cina significa osservare il mondo e annotare gli eventi.

Molti lettori forse non sono al corrente che Su Tong è il suo nom de plume. Il suo vero nome è Tong Zhonggui. Le va di spiegare ai nostri lettori il motivo per cui ha scelto proprio Su Tong come nome di penna?

Il motivo è molto semplice. Ho sempre odiato il mio nome, giacché in Cina è alquanto antiquato e obsoleto. La scrittura mi ha permesso di scegliere un nome che mi andasse a genio. Su, perché sono originario della città di Suzhou. Tong, perché il mio cognome originario è per l’appunto Tong. Per cui è come se il mio nom de plume rispondesse alle questioni filosofiche “chi sono?” e “da dove vengo?”.

Sono decenni ormai che scrive indefesso. È sempre mosso dalle medesime motivazioni?

Direi di no. Inizialmente l’unico desiderio era quello di pubblicare qualche romanzo per comprovare il mio talento. Adesso sono invece spinto da tutt’altra motivazione: l’auspicio di superarmi e di scrivere sempre meglio. Insomma, come si suol dire, il prossimo romanzo è sempre il migliore.

In un’intervista una volta disse che non è molto soddisfatto delle sue fatiche letterarie. Si tratta di mera umiltà o di un desiderio genuino di superare se stesso e fare sempre meglio? Che cos’è per lei la grande letteratura? Perché libri quali Madame Bovary, I fratelli Karamazov, Guerra e pace, Il sogno della camera rossa, sono a giusto titolo definiti grandi opere letterarie?

Tirando le somme mi ritengo abbastanza soddisfatto dei miei romanzi brevi. Peccato che all’estero non sono molti i lettori che vi hanno accesso. Per quanto concerne la grande letteratura, nutro profonda ammirazione per i cosiddetti classici (ne sono un esempio quelli che ha appena citato). A mio avviso, un classico è un libro in grado di rivelare il destino universale dell’umanità e di palesarne i tratti tipicamente umani in modo circostanziato e penetrante, ma anche con una visione di ampia portata.

È lecito affermare che in Cina ha raggiunto la fama quando era ancora un giovane ragazzo. Nel 1988 pubblica Mogli e concubine nella prestigiosa rivista letteraria Harvest. Andando ancora più indietro nel tempo, nel 1983, tre anni dopo essere stato ammesso al Dipartimento di cinese della Beijing Normal University aveva già cominciato a pubblicare dei romanzi. Nel giro di qualche anno la sua creatività lo consacra alla fama come scrittore e lo fa diventare uno dei promotori, nonché uno dei maggiori rappresentanti del movimento d’avanguardia cinese. Secondo lei conseguire la fama sin da giovane è una benedizione o una maledizione per uno scrittore? Perché?

Credo che non sia né una benedizione né una maledizione. Si tratta solo di una questione di tempistica. La fama letteraria altro non è che una medaglia che ci viene conferita dal Dio della letteratura. Averla o non averla poco importa. Se uno vuole scrivere continua a farlo anche se non gli venisse mai conferita vita natural durante. Se poi dovesse passare la voglia, uno non se la può certo prendere col Dio della letteratura, giusto? È pur vero che nella storia della letteratura sono ben pochi coloro che si sono fatti un nome negli anni del tramonto. Quindi è auspicabile raggiungere la fama prima che sia troppo tardi. Non mi pare un’affermazione azzardata.

Nella sua carriera ha scritto più di venti romanzi e duecento tra racconti e romanzi brevi. Le sono stati conferiti innumerevoli premi (1). Tra tutte le onorificenze che le sono state conferite per le sue opere, qual è la fatica letteraria che l’ha resa più orgoglioso?

Il discorso dei premi è abbastanza complesso. In linea di massima a qualunque scrittore piace essere insignito di un premio, soprattutto se si tratta di onorificenze alle quali tiene in modo particolare. Vincere un premio può dare una spinta di incoraggiamento. Credo siamo tutti d’accordo su questo. Personalmente non credo possa costituire un ostacolo allo sviluppo, anche perché pochi sono coloro che si pongono come ultimo obiettivo il conferimento di un premio. Se devo essere sincero, per uno scrittore il significato più importante che si cela dietro una vincita è la ricompensa pecuniaria. In secondo luogo, forse, la gioia derivante dagli applausi. Comunque fatto sta che i premi non determinano in alcun modo il valore di uno scrittore. Taluni giganti della letteratura mondiale, quali Tolstoj e Kafka, non hanno mai vinto alcun premio. Nel mio caso non sono particolarmente orgoglioso di qualche mia opera che mi abbia fatto vincere dei premi prestigiosi, anche perché sovente i miei lavori tendono a non piacermi.

Se non ricordo male, è stato in Italia varie volte. Che ne pensa del nostro Paese? Sicuramente avrà anche letto molti libri di autori italiani, giusto? 

Sono stato molte volte in Italia. L’anno scorso, in primavera, sono stato a Venezia per un mese difilato, roba da creare una vera dipendenza. Il mio scrittore italiano preferito è Italo Calvino. Ricordo ancora che quando lessi la trilogia I nostri antenati rimasi proprio meravigliato. Di recente sto leggendo Marcovaldo ovvero Le stagioni in città (pubblicato per la prima volta in Cina e tradotto dal mio amico Ma Xiaomo in modo magistrale). Italo Calvino lascia sempre stupefatti. Aveva proprio il dono della scrittura sin da giovane! A parte Calvino, mi piacciono molto anche alcune opere di Dino Buzzati e di Alberto Moravia.

Spostando un attimo la nostra attenzione alla letteratura mondiale, quale autore o corrente letteraria ha contribuito in maniera preponderante a plasmare il suo stile di scrittore? Una volta disse di essere profondamente legato a Nove racconti (Nine Stories), una raccolta di racconti del 1953 scritti da J. D. Salinger. Le va di spiegarci il motivo?

Tutt’oggi mi piace ancora questa raccolta. I romanzi brevi che scrissi nella prima fase della mia carriera letteraria ne furono profondamente influenzati dal punto di vista stilistico. Più tardi ho appreso che la scrittura deve liberarsi da qualsivoglia influenza esterna. I grandi maestri della letteratura finiscono col diventare un’ombra della quale è necessario liberarsi. Non ha importanza quale sarà il tuo stile, fatto sta che non potrai mai tramutarti in un loro clone.

Molti esponenti della letteratura cinese moderna e contemporanea, quali Lu Xun, Mao Dun, Ba Jin e Lao She, ritengono che la letteratura possa aiutare gli esseri umani a migliorarsi e in certo modo spronare gli strati sociali più bassi a incamminarsi verso un futuro più radioso. Lei crede che la letteratura possa davvero farsi carico di una missione così grandiosa?

Nella società contemporanea gli scrittori sono come un lampione volto a illuminare una parte di mondo facendo così strada ad alcuni passanti. Talvolta i lampioni vengono eretti in corrispondenza di incroci trafficati, dove la gente va e viene, e in tal caso la luce apporta un contributo ancor più significativo. Tuttavia la maggior parte dei lampioni si trova su vicoli isolati e così fanno luce solo a pochi escursionisti notturni.

Viviamo in un mondo alquanto caotico. In un suo intervento una volta disse: “Il dialogo tra culture diverse avviene grazie alla lettura”.

Quando una cultura si chiude ermeticamente in se stessa inevitabilmente appassisce. È necessario che vi sia comunicazione tra una cultura e l’altra. E la comunicazione deve essere paritaria. Non ha senso parlare di cultura dominante, subcultura e di cultura marginale. Questo non fa che creare ostacoli. Bisogna cercare dei punti in comune e non sottolineare le discrepanze culturali con aria di scherno o a fini derisori. La letteratura è il modo più veloce e ottimale per avviare un dialogo tra culture diverse.

Che cos’è per lei la verità? Come la definirebbe? Cos’è vero e cosa non lo è? Nel romanzo Riso (inedito in Italia) lei scrive: “Non c’è niente di più ipnotico del riso. È più affidabile e più vicino alla realtà delle cose persino rispetto al corpo di una donna.” Le va di spiegare ai nostri lettori questa frase?

La verità è come il sole e la luna. Sono lì seppur distanti da noi. Altre volte la verità è come una chiave infilata in un cassetto e per estrarla è necessaria un’altra chiave per poter anzitutto aprire il cassetto. La verità è il risultato di una cognizione. Come dobbiamo interpretare ad esempio La metamorfosi di Kafka? Un uomo che si trasforma in un enorme scarafaggio? È vero? Corrisponde alla realtà delle cose? Dipende tutto dalla nostra cognizione.

Nei suoi romanzi le donne assumono quasi sempre un ruolo di primaria importanza. Qual è l’immagine femminile che gli scrittori cinesi cercano di trasmettere?

L’immagine è la stessa in qualsiasi letteratura. Quando viene narrata la storia di una donna, non si tratta di una questione di genere, bensì della storia di una persona. E lo stesso vale per l’immagine degli uomini nella letteratura.

Spesso le sue opere sono permeate da un atteggiamento pessimistico nei confronti dei tratti più tipicamente umani. Questo riflette le sue vedute? 

No. Non corrisponde al mio modo di vedere le cose. I pensieri dei personaggi nei miei romanzi non rappresentano le mie vedute. Non sono né ottimista né pessimista nei confronti della natura umana. Anche perché la natura umana è come il tempo, può cambiare in qualsiasi momento. Chi è che non ama il sole e il cielo azzurro? Eppure spesso ci tocca accettare anche la pioggia, la foschia e le notti buie.

In cuor suo, qual è il libro che meglio la rappresenta? Se dovesse sceglierne uno, quale sceglierebbe? Perché?
Credo che i miei romanzi più rappresentativi siano Quando ero imperatore (ed. Neri Pozza, traduzione di Maria Gottardo e Monica Morzenti), The Boat to Redemption (inedito in Italia), e Yellowbird Story (inedito in Italia). Anche se in realtà penso che i miei romanzi brevi meritino di più. Ci sono legato in modo particolare.

Yellowbird Story è un romanzo del 2013. Il romanzo racconta la storia intricata di un caso di stupro adolescenziale avvenuto negli anni Ottanta. I temi principali sono il peccato, la punizione, l’auto-redenzione, l’espiazione dei peccati, la disperazione e la speranza. 

Questo romanzo trae ispirazione da un evento realmente accaduto. Questo libro mi sta particolarmente a cuore perché è come se avessi eretto un edificio rappresentativo a conclusione dei romanzi facenti parte della serie ambientata in via Xiangchunshu (Toon Street nella versione anglossasone).

Lei stesso ha affermato che durante la stesura di questo romanzo non faceva altro che pensare a Delitto e castigo e Umiliati e offesi dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij. 

I protagonisti di Yellowbird Story vengono sistematicamente umiliati e offesi. Il delitto (pena nella traduzione cinese) e il castigo accompagnano sempre il destino di questi personaggi. È un po’ come se avessi usato Delitto e castigo e Umiliati e offesi dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij per riassumere la storia del romanzo.

Se me lo concede, vorrei farle una domanda un po’ provocatoria. Crede che Mogli e concubine sia stato adattato al grande schermo perché può essere considerato un capolavoro letterario o è proprio la trasposizione cinematografica ad avergli conferito lo status di capolavoro?

Credo sia una domanda legittima e per me non è affatto provocatoria. Non credo che Mogli e concubine sia un grande libro. Eppure è il romanzo che ha avuto più successo. Per quale motivo? Be’ certamente per il successo che ha avuto il film. Questo è innegabile.

Per ogni scrittore il più grande riconoscimento si trova nel plauso e nel consenso dei lettori. Le è mai capitato di incontrare dei lettori molto appassionati dei suoi libri? 

Mi è capitato più di una volta. È sempre molto interessante condividere con i lettori i retroscena sul destino di alcuni personaggi. D’altronde è lecito pensare qualsiasi sciocchezza si voglia senza incorrere in nessun problema legale.

Vorrei che mi raccontasse qualcosa della sua tecnica narrativa. In molti suoi romanzi usa il monologo interiore e il discorso indiretto libero. Quale effetto narrativo riesce a ottenere con queste tecniche?

In realtà non mi prepongo alcun obiettivo. La tecnica del monologo interiore l’ho usata, sì, ma non troppe volte. Del discorso indiretto libero, invece, ne faccio ampio uso. Non mi piace avvertire il lettore: “Fate attenzione, il personaggio sta parlando, prestate attenzione!”. Preferisco fondere le parole dei personaggi nel sistema narrativo in modo del tutto naturale senza lasciar traccia.

Lei è originario della provincia del Jiangsu. Che cosa rappresenta per lei il Jiangsu? Che ruolo svolge nelle sue opere? 

Dovremmo fare un distinguo tra il nord e il sud della provincia del Jiangsu. Ci sono delle notevoli differenze culturali. Io sono nato e cresciuto nel Jiangsu ma non mi sono mai posto come obiettivo quello di scriverne. Ho scritto vari romanzi ambientati in via Xiangchunshu (facente parti della serie Toon Street in inglese). Come dire: preferisco limitarmi a una strada piuttosto che a una regione estesa. Ho sempre sperato che questa strada non appartenesse solo al Jiangsu o a dei miei ricordi personali, bensì che diventasse dominio di tutti i miei lettori, ovunque essi si trovino.

Negli ultimi anni c’è stato un incremento esponenziale della produzione letteraria in Cina con alcune opere più degne di nota. Secondo lei quali correnti letterarie possiamo intravedere nel nuovo secolo? Qual è il suo scrittore preferito? Perché?

A dire il vero, non me ne intendo di correnti letterarie. Non ho uno scrittore preferito: ce ne sono vari che secondo me meritano molto. Ma non me la sento di fare nomi perché mi sentirei di fare un torto ad altri autori altrettanto validi.

Negli ultimi dieci anni gli occhi del mondo sono puntati sulla Cina per vari motivi. Talvolta si tratta di giudizi favorevoli, altre volte meno lusinghieri. Lei crede che la letteratura si debba assumere il compito di “raccontare la Cina”? 

Gli scrittori cinesi debbono “raccontare la Cina”. Come raccontarla è un altro paio di maniche. Ogni autore lo fa in modo diverso. Abbracciare o meno il realismo dipende altrettanto da scelte autoriali individuali. Nessuno conosce il vero volto della Cina. Tutti cercano di guadare il fiume, eppure non vi sono rigagnoli per attraversarlo, ma solo un grande torrente indomabile e implacabile. Chi sa nuotare lo attraversa a nuoto, chi ha a disposizione una barca farà altrimenti. Solo quando raggiungiamo l’altro lato, saremo più vicini al vero volto, alla realtà delle cose. Naturalmente, è anche possibile che da qui vediamo sbocciare delle rose sulla riva opposta e che allorché giungiamo a destinazione ci accorgiamo a malincuore che le rose sono già appassite.

Pensa che i giovani di oggi in Cina siano davvero così superficiali come la società sovente li dipinge? Pensano davvero solo a comprarsi l’ultimo modello del cellulare, vivono davvero in un mondo in cui “mors tua vita mea” come se si trovassero in una versione moderna della corte imperiale cinese? Oppure ci sono tanti giovani che cercano di dar voce al proprio cuore e, nonostante urlino e si sgolino, la società fa orecchie da mercante?

Credo non esista un prototipo unico di giovane cinese. Ognuno ha le sue caratteristiche e, di conseguenza, anela a sogni diversi. Come le dicevo di recente sto leggendo Marcovaldo ovvero Le stagioni in città (una raccolta di venti novelle di Italo Calvino). Il primo racconto si intitola Funghi in città. Marcovaldo, mentre aspetta il tram per andare al lavoro, scopre dei funghi cresciuti su una striscia d’aiuola d’un corso cittadino. Il sogno del protagonista è quello di raccogliere i funghi in modo da poter cucinare un pasto a base di funghi per la sua famiglia. Nel secondo racconto, La villeggiatura in panchina, il sogno di Marcovaldo è di poter lasciare la casa affollata e rumorosa e andare a dormire sulla panchina del parco assorto nella contemplazione del cielo stellato. Questa è la storia di un italiano di nome Marcovaldo, ma potrebbe anche essere la storia di un cinese qualunque.

Viviamo in un mondo alquanto caotico. Secondo lei, qual è l’unica ancora di salvezza per l’uomo?

La vita è un viaggio volto alla ricerca della speranza e della felicità. Pertanto la vita stessa è la miglior ancora di salvezza per l’uomo. Soltanto vivendo è possibile toccare con mano la felicità.

*Riccardo Moratto è sinologo, simultaneista, traduttore letterario e professore associato presso la Hunan Normal University.

(1) tra i premi ricordiamo il Zhuang Chongwen Literature Award, il Chinese Literature Media Award, il Man Asian Literary Prize, il Hundred Flowers Award, il prestigioso Lu Xun Literary Prize, il premio alla cultura conferitole dalla provincia del Jiangsu nel 2013, il Tencent College Literary Award, il prestigioso Mao Dun Literature Prize, il Wang Zengqi Literary Award