«Macron ha firmato il peggiore accordo della Francia nella storia dell’Unione europea». Schiuma così, Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, sei ore dopo lo storico accordo sul Recovery Fund firmato a Bruxelles.

La pioggia di miliardi stanziata dall’Europa fa crollare gran parte dei mattoni del castello della sua propaganda declinata alla Grandeur. Impossibile vendere il ritorno al franco quando il «Deal» annunciato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, prevede 750 miliardi di euro a partire dal 2021. Significa 40 miliardi di sovvenzioni per Parigi, cioè il 40% del Piano di ripresa nazionale della Francia: un vero incubo per i sovranisti transalpini, cui ora resta giusto la denuncia della «nascita dello Stato federale europeo».

Ma ieri mattina è andata di traverso la colazione anche ai fascio-populisti di Alternative für Deutschland, scandalizzati perché «la Spagna riceve 82,2 miliardi, l’Italia 56,7, la Polonia 36, la Grecia 33,4 e la Romania 21. Mentre la Germania ne perde oltre 133,3» riassume la delegazione di Afd all’Europarlamento. Al contrario di Le Pen, per gli “alternativi” tedeschi l’accordo sarà il perno dell’imminente campagna elettorale per le elezioni federali dell’anno prossimo. Secondo loro la cancelliera Angela Merkel ha tradito la Bundesrepublik fino a ieri fondata su Austerity più debito-zero. Un argomento pesante su cui incardinare la nuova strategia di Afd, anche se – esattamente come la Lega di Matteo Salvini – l’arma di distrazione di massa in Gemania resta lo straniero: «Nessuno spazio per il saccheggio e la distruzione dei migranti» tùitta Stephan Brandner, deputato al Bundestag e fra i leader di “Der Flügel”, la corrente di ultradestra di Afd.

Un po’ come l’olandese Geert Wilders, fondatore del Partito per la Libertà: il politico che all’inizio del negoziato girava con il cartello «Non un centesimo all’Italia».

Dopo che il premier Mark Rutte ha portato a casa il “freno a mano” per controllare la spesa degli “Stati-cicala” non gli resta che spolverare la sella degli altri cavalli di battaglia: «Le pensioni rischiano di essere tagliate, gli eroi della cura dal Coronavirus non hanno ricevuto un soldo, decine di migliaia di aziende sono fallite e i contadini sono stati schiacciati» scandisce Wilders, mostrando la mappa dei Paesi Bassi con un buco da cui escono banconote da 100 euro.

Davvero una brutta giornata per i tifosi dello sfascio dell’Unione europea, orfani del mantra dei contributori netti (che da ieri sono diventati in gran parte beneficiari netti). A Copenhagen il leader del Danske Folkeparti sintetizza così la quadra trovata da 22 Paesi Ue su 27 dopo cinque giorni di estenuanti trattative.

«L’Unione europea ha definito l’accordo come storico e mai nella sua storia ha distribuito così tanto denaro. Ma il Coronavirus è stato utilizzato da Bruxelles in modo improprio e il conto della Danimarca è destinato a crescere. Chi pagherà? Gli anziani? La sanità? Ci sarà l’aumento delle tasse?» è la raffica di domande di Kristian Thulesen Dahl, segretario del Partito popolare danese, che a dispetto del nome si colloca a pieno titolo nel Gruppo Identità e democrazia al Parlamento europeo.

Non va meglio per i vicini di Helsinki, soggetti oltretutto ai parametri dell’Eurozona, mai così furiosi contro «l’Unione europea del debito» che ha varato «un programma di indebitamento megalomane con uno sviluppo negativo per la Finlandia che certo non appoggia questa politica» è lo sfogo del partito dei Veri Finlandesi, che a Bruxelles contano appena due seggi ma alle Politiche del 2019 avevano raccolto il 17,5% dei voti.