«Valentino sorride». Ai parenti, agli amici e ai compagni di una vita che per primi sono accorsi all’ospedale Fatebenefratelli appena appresa la notizia della sua morte, Valentino Parlato sembra riservare uno dei suoi più ironici sorrisi.

Se n’è andato ieri mattina intorno alle 10, ad 86 anni, il fondatore e più volte direttore del manifesto, dopo una notte di coma e ventiquattr’ore di ricovero. Lieve, come è sempre stato.

Sono arrivati in tanti ad abbracciare sua moglie Delfina Bonada e i suoi figli, Enrico, Matteo e Valentina. Ma sono i più intimi: nessuna presenza istituzionale, nessun saluto formale. Lacrime, sorrisi, abbracci. Tra gli amici di una vita, i compagni della vecchia e della nuova “famiglia comunista”, quelli del collettivo del manifesto degli esordi e  dell’attuale.

Si stringono tutti attorno a Luciana Castellina, la «sorella» con la quale Valentino Parlato ha condiviso oltre mezzo secolo di storia. Attoniti, Aldo Tortorella, l’amico di sempre, Chiara Valentini, Gianni Ferrara, Filippo Maone, Famiano Crucianelli, Enrico Pugliese, Luigi Ferrajoli, Vincenzo Vita, Nichi Vendola, Adriana Buffardi, Lia Micale.

Massimo D’Alema entra nella piccola sala mortuaria dell’ospedale sull’Isola Tiberina per un saluto, commosso al ricordo di quella figura che gli appariva quasi mitica quando, all’età di dieci anni, lo incontrava in casa, ospite dei suoi genitori. Fu allora che cominciò ad ammirarlo.

«Sono qui come amico e come compagno, ma soprattutto perché mai come oggi l’Italia avrebbe avuto bisogno di eretici come lui», dice commosso un anziano signore piegato sul bastone che vuole essere identificato solo come Guido, «uno che fa pasquinate». «È stato tra i migliori uomini del Novecento», sospira il professor Michele Padula che fece parte del collettivo del manifesto fino al 1978. «Tra le tante virtù che aveva Valentino, ve n’era una specifica politica e una umana – ricorda Padula – Era attento alle questioni sociali, oltre che economiche, e aveva la capacità di cogliere nel Mezzogiorno le contraddizioni moderne e quelle del passato. Ma soprattutto Valentino sapeva accogliere le persone. Non con le parole, a lui non servivano: lo faceva con la sua stessa presenza».

Nelle ultime settimane aveva finalmente cominciato a lavorare su un progetto a cui aveva pensato a lungo: un libro sulla sua terra natia, la Libia. Lo avrebbe scritto insieme al suo secondogenito, Matteo, giornalista Rai. Da Tripoli, dove nacque il 7 febbraio 1931, venne espulso a vent’anni, reo di aver tentato di fondare il Pci tripolino.

«Avevo 16 anni quando nei primi anni ’50 tentammo di aprire una sezione del Pci a Tripoli, insieme ad un professore di greco e ad un compagno arabo», racconta l’economista e giornalista Enzo Modugno, che si definisce «un compaesano» di Parlato. «Purtroppo la polizia se ne accorse e loro furono espulsi. Io no perché ero minorenne. Quando Valentino arrivò a Roma, Togliatti gli diede un posto a Botteghe oscure. Lo rincontrai solo molti anni dopo».

Si sono riabbracciati qualche mese fa, durante la conferenza di Roma sul comunismo e le celebrazioni del 1917, nel centro sociale Esc. «Era tra i migliori giornalisti d’Italia – s’infervora Enzo Modugno – Altro che Bocca e Montanelli!. A loro una volta mandò a dire: “Questa borghesia è illuminata finché qualcun altro paga la bolletta della luce”».

L’ultimo saluto

Chi vorrà dare l’ultimo saluto a Valentino Parlato potrà farlo ancora questa mattina dalle 8 alle 12 presso la morgue dell’ospedale Fatebenefratelli, sull’Isola Tiberina.

Dalle 15 di venerdì 5 maggio invece sarà allestita la camera ardente presso la Protomoteca del Campidoglio, dove alle 17,30 si terrà la cerimonia funebre.