«Alimenti per la longevità, Afghanistan sorprendentemente reale». Il titolo del tema che il padiglione afghano porta a Expo 2015 ha qualcosa di spiazzante. Quando il pensiero corre a questa terra, evoca bombe, macerie, stragi, terrore, miseria, assenza di futuro. E l’esistenza dell’Afghanistan risulta allora, qui, «sorprendentemente reale». Il paese occupa uno spazio di 125 metri quadri in uno dei nove cluster, raggruppamenti, che accostano per tradizioni e cultura alimentari nazioni assai diverse tra loro.

Nel caso specifico, il cluster delle spezie comprende anche Tanzania e Vanuatu. Recita la presentazione «Dalle miniere alle erbe e spezie, l’Afghanistan è un Paese ricco di risorse naturali… tra cui innanzitutto le spezie, capaci di donare quel gusto unico alla cucina e di promettere a chi le usa benessere e longevità. Sono l’ingrediente chiave per una vita sana, coltivate in modo naturale e con metodo biologico, così come le erbe e i frutti, dei quali vengono illustrati i vari benefici sulla salute…».

Spezia, in Afghanistan, vuol dire zafferano, con Herat capitale. Qui la produzione è pari al 90% di quella nazionale. Nella provincia lavorano seimila aziende che coltivano e trasformano tre tonnellate l’anno di «oro rosso», diciotto quelle che ne esportano il 60/80%. Duemila dollari al chilo il prezzo. Altra fonte di ricchezza, ma di gran lunga superiore, è la coltura del papavero da oppio. Ricchezza, con le dovute proporzioni, per chi coltiva il fiore e per chi lo commercia quando è divenuto droga.

Su un ettaro di terra, un agricoltore raccoglie fino a trenta chili di oppio grezzo, che gli fruttano duecento dollari al chilo. Se coltivasse grano, intascherebbe 50 centesimi per ognuno dei 2800 chili ricavati.Dall’Afghanistan arriva l’80% della produzione mondiale e, dati 2013, sono 210mila circa gli ettari di terreno dedicati all’oppio.
I colossali guadagni finiscono in larghissima parte nelle casse delle milizie talebane. La «guerra al papavero», per quanto impresa titanica, è stata avviata su due fronti pacifici a partire dal 2010. Zafferano contro la droga è la base su cui poggia il programma «Afghanistan per lo sviluppo delle imprese rurali», promosso dal Ministero dello Sviluppo Rurale con il sostegno della Banca Mondiale e del Fondo per la Ricostruzione.

Il programma assiste circa 1350 Istituti di Gruppo, di cui il 63% costituito da donne, e 256 imprese di piccole e medie dimensioni con una presenza femminile del 13%. Ogni giorno le operaie, dalle 8 alle 17, preparano un chilo di zafferano. La paga mensile ammonta a 120 dollari. Ma per contrastare, sconfiggere, il dominio del papavero, l’oro rosso certamente non basta. È nato così il progetto Perennial Horticulture Development Project (PHDP), mirato allo sviluppo dell’agricoltura locale. Ad oggi sono sei le aziende – modello, che operano su una trentina di ettari. La Urdu Khan Farm, nei pressi di Herat, seleziona centinaia di colture da frutta e sperimenta nuove tecniche per la coltura intensiva. Lo scorso anno è stata inaugurata un’area di esposizione e vendita dei prodotti dell’azienda.

Prime fondamenta su cui costruire un domani (o un dopodomani) senza oppio? Si, ma come ha ribadito più e più volte Haji Hayatullah, presidente dello NCRA, il Consiglio Nazionale per la Riconciliazione dell’Afghanistan, a una precisa e inderogabile condizione: che il governo metta in atto politiche reali in favore dell’agricoltura nazionale e offra vere alternative alle aziende agricole familiari per tornare allo zafferano, all’uva, alle pesche. Dimenticando il papavero color rosso sangue.

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