L’omicidio di Piersanti Mattarella spartiacque nella storia italiana
Palermo 40 anni fa Il 6 gennaio del 1980 a Palermo veniva assassinato il presidente Dc della Regione Siciliana. Un delitto che va letto nel contesto politico del 1978, anno dell’uccisione di Moro
Palermo 40 anni fa Il 6 gennaio del 1980 a Palermo veniva assassinato il presidente Dc della Regione Siciliana. Un delitto che va letto nel contesto politico del 1978, anno dell’uccisione di Moro
«La mattina del 6 gennaio 1980, a casa Mattarella, al secondo piano di via della Libertà 147, Piersanti ha appena chiuso una lunga conversazione telefonica con Corrado Belci, dirigente nazionale della Dc. Guarda l’orologio. Manca una manciata di minuti all’inizio della messa. Piersanti sollecita amorevolmente la moglie e i due figli, Maria e Bernardo: «Forza, è ora di andare. Non facciamo tardi oggi che è l’Epifania… Piersanti, che quel giorno aveva congedato la scorta, guida l’auto in retromarcia, si ferma per far salire le donne di casa mentre Bernardo chiude il garage. Passano pochi attimi, lo spazio di un paio di respiri prima dell’orrore e della tragedia. In macchina ci sono quattro persone, Maria sta parlottando con la nonna. Sente un gran botto, si gira di scatto e vede i cristalli del finestrino anteriore andare in frantumi: «C’era la canna nera di una pistola diretta contro papà, sparava. Lui si è reclinato sulle gambe di mamma… Il killer ha fatto il giro della macchina e ha continuato a sparare dall’altra parte»… Accorrono i primi passanti, qualcuno esce di corsa dal bar che si trova tra l’abitazione dei Mattarella e il garage.
PROPRIO DAL TELEFONO di quel bar Bernardo riesce, in stato di trance, a chiamare il 113. Una seconda telefonata è per lo zio Sergio, che abita anche lui a via della Libertà, a un paio di isolati dal luogo dell’attentato. Sopraffatto dal dolore e dallo shock, Bernardo non riesce a dirgli tutta la verità: «Zio, corri giù, c’è stato un incidente a papà». Sergio scende subito in strada, preoccupato. La scena che gli si para davanti, con quell’auto crivellata di colpi e piena di sangue, è violenta, allucinante, insostenibile»”.
Dal Libro di Giovanni Grasso Piersanti Mattarella. Da solo contro la mafia, pubblicato nel 2014 per Edizioni San Paolo).
L’assassinio di Piersanti Mattarella rappresenta uno spartiacque nella storia italiana. Per comprenderlo fino in fondo, però occorre fare un flashback di circa due anni.
IL 1978 È UN ANNO CRUCIALE. Per l’Italia. Per la Sicilia. Ci sono destini che si compiono in quell’anno. Altri che imboccano strade senza ritorno.
Il 16 marzo, a Roma, le Br rapiscono Aldo Moro, alla vigilia del voto per il governo di solidarietà nazionale guidato da Giulio Andreotti con il sostegno del Pci, tenacemente costruito da Moro.
Il 20 Marzo, quattro giorni dopo, a Palermo si insedia il governo regionale guidato da Piersanti Mattarella, l’uomo più vicino a Aldo Moro, con il sostegno del Pci siciliano, guidato da Achille Occhetto.
È il nove maggio quando a Roma le Brigate Rosse fanno rivenire il cadavere di Aldo Moro. Quella stessa notte a Cinisi i sicari di don Tano Badalamenti uccidono Peppino Impastato, camuffando il suo barbaro assassinio da suicidio di un terrorista. Due anni dopo, il sei gennaio del 1980, Piersanti Mattarella venne assassinato sotto casa sua, in Viale della Libertà. Mattarella si trovò a un incrocio pericolosissimo, dove si muovevano quelle stesse forze – criminali, politiche e degli apparati deviati dello stato – che si opponevano alla politica nazionale di apertura al Pci portata avanti da Aldo Moro.
LEOLUCA ORLANDO, SINDACO della Palermo della primavera antimafia, uno dei giovani intellettuali che si raccoglievano attorno a Piersanti, ricorda come, il giorno del rapimento Moro, Piersanti Mattarella davanti alla sua preoccupazione per le sorti del loro leader («Temo che per il nostro presidente sia finita») gli confidò: «Non si poteva colpire più in alto; si è mirato al cuore del nostro sistema democratico. È finita anche per me. È finita anche per noi».
CALOGERO MANNINO, uno dei leader della Dc di quel periodo, mi ha raccontato: «Nel marzo del 1979 fu assassinato Michele Reina, segretario provinciale della Dc di fede andreottiana. Era un personaggio che ritenevo discutibile, quindi quando lo uccisero, non feci la tradizionale visita alla famiglia. Quella sera, verso le 22.30 vennero a casa mia Piersanti Mattarella che un anno prima era diventato presidente della regione con l’appoggio dei comunisti e Rosario Nicoletti, segretario provinciale della Dc (morirà suicida nel 1984 ndr). “Lillo, mi disse Mattarella, la situazione è grave, molto più di quanto tu possa immaginare”. Nicoletti che era molto agitato esclamò: “Lillo, qua ci ammazzano a tutti e tre”. Eravamo i tre temerari che avevano proseguito l’esperienza morotea, dopo la morte di Moro». Quella dell’omicidio Reina è un’altra ipotesi investigativa emersa di recente perché l’arma usata potrebbe essere la stessa del delitto Mattarella.
LA TRADUZIONE SICILIANA della politica morotea dovette dunque fare i conti con l’intreccio mafia, politica e istituzioni che proprio in quegli anni compiva un vero salto di qualità. Ma questa non fu la sola pista seguita, per l’omicidio Mattarella. Un grandissimo come Leonardo Sciascia giudicò «anomale» per la mafia le modalità del delitto; ci furono rivendicazioni sia del terrorismo di destra che di sinistra; la vedova Mattarella, Irma Chiazzese, seduta in macchina accanto al marito al momento dell’agguato, riconobbe come killer il neofascista Giusva Fioravanti, poi assolto dalla sentenza definitiva che condannò la cupola mafiosa come mandante del delitto, escludendo che in questo caso vi potessero essere state quelle collaborazioni tra terrorismo neofascista e mafia emerse in altre vicende. Sulla pista nera ora però sono state riaperte le indagini. Difficile capire se qualcosa emergerà a quant’anni di distanza, ma intanto la portata storica di quel delitto è ormai chiarissima.
Sostiene Mannino: «Una volta Falcone mi disse che “la lotta contro Cosa Nostra diventa una questione di sovranità nazionale”. E di questo salto di qualità, ecco quel che molti si ostinano a non capire, noi democristiani fummo le prime vittime». Con il delitto Mattarella la mafia, che nel frattempo acquisisce enormi ricchezze con il traffico della droga, manda a dire ad amici e nemici che tutti devono sottomettersi. Controllano il traffico della droga, non serve più il tradizionale rapporto con la politica, hanno bisogno, esattamente come i Narcos messicani, di controllare totalmente il territorio, le istituzioni, gli apparati investigativi.
IL DISEGNO PROSEGUE infatti con gli omicidi di Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa ed era stato annunciato dagli omicidi del capo della squadra mobile, Boris Giuliano e dal capo dell’ufficio istruzione, Cesare Terranova. Cioè, in un biennio, Cosa Nostra assassina il capo della polizia, il capo della procura, due capi dell’ufficio istruzione, il leader dell’opposizione, il prefetto antimafia. Un vero e proprio colpo di stato che decapita le istituzioni, eliminando tutti coloro che si oppongono al potere mafioso. Infine, le stragi nelle quali cadono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, non a caso annunciate dall’assassinio di Salvo Lima, il proconsole di Andreotti in Sicilia, assassinato perché non aveva mantenuto le promesse.
LA BATTAGLIA MENO VISIBILE ma più dura Mattarella la condusse proprio sul tema degli appalti, dove si annidava (e si annida tuttora) il rapporto tra mafia e politica. Nette le parole dette a un coraggioso ispettore, Enzo Mignosi, che indagava sugli appalti per la manutenzione di alcune scuole e riteneva di aver scoperto numerose irregolarità. Pochi giorni prima dell’agguato andò dal presidente e gli disse :«Presidente, se continuo, finisco in un pilone di cemento» e lui gli rispose: «Lei vada avanti, nel caso nel pilone ci finiamo tutti e due». Piersanti, dunque, come confermano anche tante altre testimonianze, era ben cosciente di aver messo le mani in un groviglio di interessi che poteva costargli la vita. Per questa ragione fu vissuto dalla mafia e dai suoi complici come un avversario mortale. Emblematico del clima di allora, nel quale si faceva fatica persino ad ammettere l’esistenza dei rapporti tra mafia e politica, fu il trattamento riservato per anni a Mignosi, considerato quasi un mitomane fino a che non pubblicammo su il manifesto il suo memoriale _ che con un po’ di fortuna avevo scovato _ dando nuovo impulso al filone mafioso delle indagini.
L’ASSASSINIO DI PIERSANTI Mattarella è dunque uno spartiacque non solo nella storia siciliana, ma nella storia italiana, qualcosa che segna un prima e un dopo. Quell’asfalto intriso del sangue di un uomo giusto è infatti il luogo di una cocente sconfitta dello stato che sembrava consegnare un pezzo dell’Italia a un destino messicano da repubblica dei narcos, ma al tempo stesso è anche il luogo di un riscatto democratico alla fine realizzato, tra la codardia e l’intesa con il nemico di tanti e il coraggio, il martirio persino, di pochi. Guardate attentamente le immagini di quei momenti drammatici: vi scorgerete un giovanissimo Sergio Mattarella accanto al corpo del fratello ucciso e il giovane procuratore di turno quel giorno, Piero Grasso. Ovvero l’attuale Presidente della repubblica e l’ex- Presidente del Senato, le due più alte cariche dello stato dell’Italia.
ANCHE IN QUESTO GRUMO di sangue e potere sta scritta la storia italiana. Non solo nei suoi lati oscuri, nei patti segreti, nelle connivenze, ma anche per ciò che, per reazione, ha suscitato. Nel decennale delle stragi di Capaci e via d’Amelio Andrea Camilleri disse : «Con loro sono cadute le nostri Torri Gemelle». Dopo, nessuno poteva più dire di non sapere. Dall’assassinio di Piersanti Mattarella erano passati dodici anni: ma tutto ciò non era già chiaro, per chi lo volesse vedere, già in quella livida epifania del 1980? Al di là delle responsabilità penali, il giudizio storico-politico su chi ha gestito il potere in quegli anni è inesorabile: la mafia avrebbe proseguito nella sua escalation terroristica se non avesse capito che quegli omicidi erano terribilmente «efficaci», che cioè riuscivano nel loro intento perché gli uomini antimafia erano isolati nelle istituzioni?
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