Un’ispirata Roberta Lombardi, con tono meditativo e profondo, attacca alla Camera il ddl costituzionale del governo: «L’esecutivo strappa al legislativo il potere di iniziativa sulla legge che è terreno comune di tutte le forze politiche, se qualcuno ancora ricorda che cosa prevede la nostra Costituzione».

Il discorso prende il volo per minuti, «sul piano della comunicazione è semplice. Renzi avrebbe già vinto raccogliendo i frutti dei limiti della classe politica dell’ultimo ventennio, che ha portato l’Italia al punto in cui è, e del vento freddo che soffia sulle istituzioni e ai quali ha spiegato le sue vele ma, nella sostanza, molto poco è cambiato in queste tre settimane da quando il Consiglio dei ministri ha reso nota la bozza di riforma, chiedendo quei suggerimenti che non sono stati mai accolti».

Poi atterra alla conclusione che «i cittadini non eleggeranno nuovi senatori ma dovrebbero sentirsi più rappresentati da 150 esponenti delle élite politiche e culturali cooptati nel palazzo. Ciò pone un problema enorme di tradimento del principio della sovranità popolare». Infine si schianta sul consueto attacco alla «stampa compiacente». Un discorso insolitamente competente e ben angolato. Infatti lo legge, parola per parola, dal manifesto del primo aprile. Senza citarlo, si intende. Poco male, anzi bene: ai parlamentari e ai cittadini (quelli veri) il manifesto distribuisce buoni argomenti volentieri e senza rivendicazioni. La Lombardi copiativa si difende scaricando la responsabilità sul collaboratore che le ha scritto i testi. Solidarizziamo con lui. Ma è il backstage dell’autoproclamazione dei 5 stelle a unica opposizione. E delle sparate imbroglione sulla stampa «compiacente».