Rcc, «Rottura convenzionale collettiva» (del contratto), è una delle grandi novità della nuova legislazione del lavoro. In questi giorni, sono in vista le prime applicazioni di questa norma controversa: riguardano il gruppo automobilistico Psa (1.300 licenziamenti previsti), Engie (energia), il giornale Le Figaro (50 licenziamenti), mentre anche alcune banche ci stanno riflettendo. Invece, la marca di vestiti Pimkie, che avrebbe voluto licenziare con questo dispositivo 208 dipendenti, ha già dovuto rinunciare, perché non ha ottenuto l’accordo (necessario) dei sindacati, rappresentativi di almeno il 50% dei lavoratori. «Stabilisce un quadro noto a tutte le parti in anticipo», spiega la ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, per difendere la nuova norma della Loi Travail.

Un’impresa può decidere di licenziare in massa, senza dover giustificare (come finora) delle difficoltà economiche. Ma per farlo deve ottenere l’accordo dei sindacati prima, poi l’approvazione del piano da parte del ministero del Lavoro (che può negarlo, se per esempio mette in crisi una regione). Infine, i licenziamenti potranno avvenire soltanto su base volontaria dei singoli dipendenti (che avranno indennità, in linea di principio, più alte di quelle in vigore finora), l’impresa quindi può non riuscire a mettere alla porta il numero di lavoratori previsto.

La Cgt è decisamente ostile e denuncia, nel caso di Psa , «la volontà della direzione di trasformare dei contratti a tempo indeterminato in contratti precari»: Psa punta a una Rcc per 1.300 dipendenti e promette, contemporaneamente, altrettante assunzioni nel 2018. La Cfdt mette in guardia sui rischi di “discriminazione” di alcune categorie di personale, per esempio i più anziani.

I sindacati sono preoccupati per le minori garanzie che la Rcc dà ai lavoratori rispetto ai Piani di salvaguardia dell’occupazione, cioè licenziamenti collettivi per ragioni economiche abbinati a programmi di riqualificazione.