L’offensiva bigotta di Trump in vista del midterm
American Psycho Aver galvanizzato la destra significa aver galvanizzato anche l’opposizione. E soprattutto l’elettorato femminile. Perché se Trump e i repubblicani confidano in una notevole mobilitazione dei propri sostenitori e militanti, e dunque in una buona affluenza alle urne, lo stesso e anche più s’attende sul fronte opposto
American Psycho Aver galvanizzato la destra significa aver galvanizzato anche l’opposizione. E soprattutto l’elettorato femminile. Perché se Trump e i repubblicani confidano in una notevole mobilitazione dei propri sostenitori e militanti, e dunque in una buona affluenza alle urne, lo stesso e anche più s’attende sul fronte opposto
Trump in preghiera con i pastori cristiani nello studio ovale. Trump che nomina giudici federali ultraconservatori. Che sposta l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, in ossequio alle pressioni delle chiese evangeliche coalizzate con Bibi.
Che minaccia il diritto costituzionale d’interruzione della gravidanza. Che vara il Muslim Ban. Che sceglie Brett Kavanaugh come nuovo giudice della Corte suprema. Cos’altro potrebbe desiderare da un presidente la destra bianca protestante, la sedicente «maggioranza morale»? Tre matrimoni, donnaiolo molestatore e misogino, Donald Trump è per i leader ultrabigotti delle chiese fondamentaliste un «presidente da sogno», eletto «per mano del Signore», che, come nessun altro prima di lui, ha fatto tanto per «la libertà religiosa». La loro.
Della «base» che è stata determinante per la sua elezione, la destra evangelica è un pilastro fondamentale. Lo è in termini numerici in diversi stati del Sud, la cosiddetta Bible Belt, e in generale come forza militante, capace anche di attirare cospicui fondi e di concentrare la sua azione in numerosi distretti in bilico, nello sforzo di portare alle urne il maggior numero possibile di votanti.
Questa forza è stata decisiva, per Trump, nel 2016 e potrebbe esserlo il prossimo 6 novembre, nelle elezioni di medio termine. La nomina di Kavanaugh è stato un potente carburante per rimetterla in moto, ma lo è stata soprattutto la drammatizzazione della sua conferma in senato, uno psicodramma che ha reso ancor più profondo il fossato tra le due Americhe.
Trump, consapevolmente, ha costruito la campagna elettorale per il midterm intorno allo scontro per la conferma del giudice contestato dal movimento #MeToo e dall’America democratica, trasformandolo nell’eroe della battaglia conservatrice a difesa del maschio bianco e delle sue prerogative. «Tante donne hanno visto in Kavanaugh il proprio marito, il proprio figlio, il proprio cugino, il proprio collega, il proprio fratello». In queste parole di Kellyanne Conway, la stratega della comunicazione di Trump, c’è la chiave narrativa dell’offensiva elettorale d’autunno basata sul rovesciamento di quanto si è visto in scena nei giorni del dibattito sulla conferma di Kavanaugh: la voce di donne molestate, le vittime, e la reazione arrogante del molestatore e dei suoi sponsor, trasformate rispettivamente in minaccia e sopraffazione e in ingiusta umiliazione pubblica di un padre di famiglia. A questo s’aggiunge l’altra linea narrativa di Trump, la descrizione del Partito democratico spostato alla sinistra estrema, stile Venezuela, «e il nostro paese finirebbe come il Venezuela».
La «realtà alternativa» di Trump. E dei repubblicani. Che ormai, dopo le baruffe dei primi tempi della presidenza, viaggiano d’amore e d’accordo, nell’idea di un lungo tragitto comune, oltre questo midterm, oltre la stessa scadenza del 2020.
Aver galvanizzato la destra significa aver galvanizzato anche l’opposizione. E soprattutto l’elettorato femminile. Perché se Trump e i repubblicani confidano in una notevole mobilitazione dei propri sostenitori e militanti, e dunque in una buona affluenza alle urne, lo stesso e anche più s’attende sul fronte opposto. La nomina di Kavanaugh, di per sé oltraggiosa, segna un ulteriore spostamento a destra della Corte suprema e la conquista da parte di un Partito repubblicano più che mai conservatore e reazionario di tutte le postazioni del potere politico e legislativo, nel segno di un’egemonia di lungo periodo. Porvi un argine, con la conquista di almeno un ramo del Congresso, è dunque imperativo. Occorrono 23 seggi alla camera perché passi sotto il controllo democratico. E al senato dieci «corse» appaiono competitive.
Sulla carta la partita è aperta, specie alla camera, che deve rinnovarsi completamente mentre il senato solo per un terzo, 35 seggi, con margini di probabilità più risicati.
La buona notizia, per i democratici, è che nei sondaggi la maggioranza degli elettori auspica il controllo da parte dei dem di almeno una della due camere. Un auspicio, non ancora un’intenzione di voto. Ancora troppo poco per cullarsi nell’attesa di una blue wave che sommerga i «rossi», i repubblicani.
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