Abbiamo appena saputo che il Def, nonostante la pandemia, prevede per il prossimo anno una riduzione dell’incidenza della spesa sanitaria sul Pil di quasi un punto: dal 7% al 6.2%. Considerando tutto, problemi economici, guerra, pandemia, non è per niente improbabile prevedere che la sanità tornerà presto agli anni ’90 cioè agli anni dei tagli e delle controriforme quindi ad essere nuovamente bastonata. Anche perché dobbiamo tenere presente che la pandemia nel frattempo ha portato in 2 anni il Fondo sanitario nazionale (Fsn) a un forte incremento: da 114 mld a 124 mld.
Se dunque per la sanità si dovesse ripresentare, come è probabile, un problema di sostenibilità finanziaria, il rischio grosso, politico, è di perdere del tutto l’art 32 o almeno di trovarci nell’impossibilità di recuperarlo come diritto «fondamentale». Perché, vale qui la pena ricordare che, proprio alla fine degli anni ’90, era il 1999, nella sanità italiana, soprattutto, per problemi di sostenibilità finanziaria, con la riforma ter dell’allora ministra Bindi, si decise di togliere al diritto alla salute (art. 32) l’aggettivo di «fondamentale» sostituendolo con «facoltativo», per mettere in competizione il pubblico con il privato, condannando il pubblico ad essere gradualmente depotenziato.

L’ultimo esempio è la convenzione fatta tra il ministero degli interni e il gruppo S. Donato che riguarda 17.000 dipendenti pubblici i quali potranno avere nel privato tutto quello che passa il pubblico ma con il 15% di sconto e senza liste di attesa. Dalla riforma ter, ad oggi, i fondi sanitari privati sono cresciuti di numero e ormai le loro prestazioni sono chiaramente sostitutive del servizio pubblico. Il secondo Report System sull’Anagrafe dei fondi sanitari ci dice che più di 14 milioni di iscritti si sono rivolti al privato. Davvero un bel giro di affari. Per cui oggi si pone il problema politico vero: evitare che i nuovi problemi di sostenibilità diano alla sanità pubblica il colpo di grazia.

Una occasione per voltare pagina cioè riprenderci l’art 32 come diritto fondamentale è quella di usare la modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione, appena approvata dal parlamento. Con questa modifica il diritto alla salute viene esteso all’ambiente cioè si introduce nella nostra Costituzione la tutela dei cosiddetti «diritti della terza generazione». Ambiente e salute diventano la stessa cosa. Questo allargamento all’ambiente del concetto di salute avviene a sentire i costituzionalisti: senza che l’art 32 perda il suo carattere antropocentrico cioè riconfermando, a dispetto degli orientamenti eco-centrati e bio-centrati, la centralità della persona; riaffermando il principio solidarista, dell’art 32, quel principio, dicono sempre i costituzionalisti, che si lega in modo inscindibile con la tutela dei diritti fondamentali, divenendone una implicazione naturale

L’estensione del diritto alla salute nell’ambiente ci offre due possibilità. La prima è di ripensare i rapporti tra economia e ambiente. I nuovi articoli, 9 e 41, nel sottolineare l’importanza fondamentale della salute e dell’ambiente è come se ponessero un limite all’iniziativa economica privata e alla speculazione finanziarie. Siccome per altro la pandemia ha messo in ginocchio l’economia, oggi non troverei per niente velleitario, anche al fine di rilanciare l’economia, riformulare i teoremi sula sostenibilità finanziaria sulla base dei quali si sono fatte le controriforme nel ’99.

La seconda possibilità è legata all’idea di salute come ricchezza del paese. L’estensione del diritto alla salute all’ambiente, cambia e non di poco, l’idea di salute, di servizio, la strategia di tutela e la metodologia di intervento. Abbiamo finalmente la possibilità di attuare una vera strategia per la salute. Quella che fino ad ora non siamo riusciti a fare. Cioè di produrre salute come primario scopo del sistema. Questo significa però voltare pagina ed andare oltre per superare sia quei rottami noti come «dipartimenti di prevenzione» e riproposti ora dal Pnrr, sia ridiscutere il dualismo salute e ambiente. Oggi gli art 32, 9 e 41 della Costituzione, se vogliamo produrre salute come ricchezza e farla finita con la sostenibilità le controriforme e il mercato, ci dicono tre cose: serve una riforma dell’idea di salute, una riforma istituzionale che metta insieme salute e ambiente, una riforma dei servizi.