È ora di non più considerare l’Italia entità trascurabile di una crisi ormai militare che nasce e cresce non lontana dalle nostre frontiere e da nostri interessi legittimi. Si tratta di un alibi per l’Italia di continuare a comportarsi come quella che Gianni Baget-Bozzo, nel corso della guerra fredda, amava definire «Bulgaria della Nato». In tal modo il nostro governo compromette gravemente la capacità dell’Ue di esprimere un netto giudizio di condanna nei confronti di un assassinio politico, in palese violazione del diritto internazionale, da parte di Washington. Premessa indispensabile per qualsiasi ruolo, peraltro urgente, al fine di disinnescare un conflitto che assomiglia sempre più ad una guerra, sia in Libia che sul fronte iraniano ed iracheno.

E che nasce, non dimentichiamolo, dalla denuncia unilaterale del trattato antinucleare con Teheran, accompagnato da sanzioni illegalmente imposte a parti terze, a cominciare da quelle europee. Solo il presidente Macron, in un nuovo empito neogollista, ha usato parole chiare nei confronti di Trump, rischiando l’isolamento. Con il Regno Unito più che mai alla mercé di Washington e la Germania divisa, anche all’interno di ciascun partito di governo, una posizione di limpida, purtroppo improbabile, opposizione da parte di Roma alla spirale aggressiva innescata dall’attuale inquilino della Casa Bianca, non sarebbe priva di effetti.

Essa potrebbe favorire in misura non trascurabile la capacità dell’Europa a sostenere una tregua diplomatica ad una crisi che nasce e cresce dal bisogno del presidente Trump di servire interessi assolutamente di parte e tendenzialmente antagonistici a quelli europei: di giustificazione e alimento della macchina di guerra, di controllo delle linee di rifornimento del petrolio e di una partita di politica interna che, in clima di guerra, lo sottragga alla pressione dell’impeachement e, soprattutto, a quella di candidature democratiche sempre più minacciose (Sanders e Warren, anziché Biden e Bloomberg). Meglio ancora, da parte dell’autocrate di Washington, se ciò significa fare strage di ogni opposizione al regime teocratico di Teheran e di qualsiasi primavera democratica in giro per il mondo. Tutto ciò attraverso uno schieramento antiraniano, di marca antisciita, e quindi tale da non escludere convergenze d’interesse con l’Isis, imperniato sull’estremismo ostile di Netanyahu a diritti internazionalmente sanciti dei Palestinesi e ad uno scambio grossolano petrolio-armi con l’Arabia Saudita.

È vero. Anche l’attuale governo Conte è spinto a piegarsi a una sindrome servile nei confronti di una Washington pur in declino egemonico, quale che sia la politica che ne scaturisce. Con un ministro degli esteri che, nell’annunciare la costituzione del nuovo governo italiano, ha sbandierato la benedizione di un presidente statunitense che avrebbe costituito motivo d’imbarazzo per un qualsiasi altro governo occidentale. Con una presenza nella maggioranza parlamentare di una componente ex comunista che scambia come tassativa qualsiasi richiesta d’Oltreoceano quanto quelle provenienti da un qualsiasi Boris Ponomariov almeno fino al 1968. La vicenda degli F 35 insegni!

Eppure l’Italia non è stata e può non essere soltanto la Bulgaria di una Nato che ormai, per sopravvivere, versa petrolio su qualsiasi fuoco, con il bel risultato di un Putin sempre più protagonista. Accanto all’indubbia sudditanza nei confronti del maggiore alleato, non è mai mancata una percezione e capacità di giocare un ruolo distinto, talora antagonistico in Medio Oriente e nel Mediterraneo, in nome d’interessi del tutto materiali, ma anche con esiti pacifici e a servizio di ordine internazionale più equilibrato e più giusto. Come anche la vocazione europeista, di un destino e di una voce indipendente di mezzo miliardo di persone ha costituito, per Roma, un antidoto strategico a qualsiasi contrapposizione connivente, un tempo Washington-Mosca, domani – chissà – Washington-Pechino.

Esiste qualcuno, a Roma e alla Farnesina, capace di farsene portavoce? Magari Giuseppi. Insomma, cari amici e compagni, non costringeteci a evocare i fantasmi di Moro, Craxi, persino il migliore Andreotti, o Fanfani, quando nel proclamare la sua avversione alla guerra contro il Vietnam, azzardò: «l’Italia non è piccola…»