«Viva/ viva/Viva l’Inghilterra/ Ma perché non sono nato là/». Magari qualcuno ricorda ancora questa vecchia canzone di Claudio Baglioni. Di certo c’è chi non ha dimenticato che fino al 1984 i britannici consideravano (anche) il calcio una questione strettamente personale. Stavolta invece no, alla faccia della Brexit: Galles, Inghilterra e Scozia hanno fatto di tutto per restare nell’Europa (del pallone). Loro ci sono riusciti e in realtà ci avevano provato anche nel nord dell’Irlanda, ma si sono fermati alle qualificazioni. Sarà una sfumatura che ha impedito alla Gran Bretagna di essere calcisticamente schierata alla grandissima.
Eppure i britannici avrebbero avuto una via d’uscita, anche questa volta. Per riscontrare l’evidente contraddizione bastava buttare un occhio alla loro storia. La chiamavano British Home Championship, la prima volta la giocarono nel 1884, l’ultima cent’anni dopo. Era il loro Europeo, anzi di più, un Mondiale. Vi partecipavano Inghilterra, Scozia, Galles, l’Irlanda tutta unita fino al 1949 e poi Irlanda del Nord per altri 35 anni.

BELLA COPPA, che per 54 volte alzarono gli inglesi, per primi gli scozzesi, per ultimi i nord irlandesi. Per capire quanta rilevanza avesse la cosa nell’ego britannico basta ricordare che nel 1966 e 1967 se l’aggiudicò la Scozia. Che alzando la Coppa si proclamò semplicemente Campione del Mondo. Motivo? Erano arrivati prima dei «cugini» inglesi, capaci di aggiudicarsi a Londra la penultima Coppa Rimet. Già questa era l’idea che i britannici avevano del football. E che in buona misura ancora hanno.
Un’altra immagine sintetizza questa sensazione di manifesta superiorità. Il riferimento non è storico, ma arriva dall’ attualità. È il volto di Jack Grealish, il «Totti inglese». Che del «tutto romanista» non ha solo un elastico ferma capelli simile a quello che Totti mostrò agli Europei in Olanda. Grealish ha grandi colpi, giocate che grazie all’estrema rapidità cancellano anche la leziosità, ha qualche gol nei piedi e nella testa, mostra coraggio scanzonato.
Ha 25 anni e in un quarto di secolo non ha mai messo piede in Europa. Però è meglio spiegare cosa significa questo ultimo passaggio: il centrocampista è capitano dell’Aston Villa e ha fin qui deciso di non lasciare per nessun motivo la squadra della città dove è nato il 10 settembre 1995. Dettaglio, l’Aston Villa in questi anni non hai mai preso parte alle coppe europee, né Europa League né Champions. E dunque il «Totti inglese» non ha mai disputato una partita ufficiale nelle coppe europee. A dirla tutta la storia sembra quasi tirata per i capelli, ma tant’è in Inghilterra c’è chi ne va fiero e non solo nei tabloid più isolazionisti.

ANCHE LORO si dovranno presto rassegnare, perché domani pomeriggio è in programma Inghilterra e Croazia, Grealish non è dato tra i titolari, ma prima o poi è probabile che arrivi anche il momento del suo esordio. E accadrà al primo Europeo dopo la Brexit. Dove i primi britannici a scendere in campo saranno i gallesi, stesso gruppo dell’Italia, impegnati contro la Svizzera, oggi alle ore 15.
Quando a Londra saranno le due del pomeriggio e pure a Cardiff, dove è nato Gareth Bale, stella del Real Madrid, corsa lunga rubata al rugby, fisico magnifico, gran giocatore. È campione pure nel singolare gioco del «lancio dello sputo», sul campo, con la mira giusta per non colpire nessuno e una certa indifferenza che rendeva il gesto visibile solo a chi gli sedeva vicino. Succedeva le rare volte che il Tottenham lo spediva in panchina e lui si rilassava inaffiando il terreno del vecchio White Hart Lane. Com’era verde quel prato inglese.