Ancora una volta gli organizzatori delle associazioni indipendentiste hanno ottenuto il risultato che cercavano: una festa nazionale catalana all’insegna dei colori dell’estelada, la bandiera indipendentista sormontata da una stella su fondo blu. Ben un milione di persone (secondo la Guàrdia Urbana di Barcellona) ha invaso due strade principali del centro di Barcellona per gridare Sì all’indipendenza. Sono molti, anche se meno di un anno fa, ma più di quanti hanno partecipato alla recente manifestazione contro il terrorismo.

1.800 BUS da tutta la Catalogna parcheggiati per le vie del centro. Coreografia studiata con indicazioni sul punto del percorso in cui mettersi la maglietta giallo fosforescente. Quattro grandi striscioni (n due si leggeva «Sì», mentre gli altri dicevano «pace e libertà», col disegno di una colomba della pace, e «referendum è democrazia», con il disegno di un’urna) che scorrevano lungo i quattro bracci del gigantesco segno “+” sopra le teste nel corteo per incontrarsi all’incrocio fra carrer Aragó e Passeig de Gràcia. Tutto come sempre magistralmente messo in scena dall’Associazione nazionale catalana (Anc) e da Òmnium.

Da quando sette anni fa il Tribunale costituzionale, aizzato dal Partito popolare, aveva sentenziato che le parti più simboliche dello Statuto catalano, approvato dopo un lungo e faticoso processo politico nel 2006, erano incostituzionali, la Diada catalana si è trasformata in una gigantesca performance dove gli indipendentisti mostrano i muscoli. E quest’anno la tensione con Madrid è alle stelle: il governo catalano non ha alcuna intenzione di riconoscere l’autorità del Tribunale costituzionale che ha sospeso la legge istitutiva del referendum dell’1 ottobre e oggi replicherà con quella per la transitorietà giuridica. Mentre il governo di Rajoy è pronto anche a sospendere l’autonomia della regione in virtù di un articolo della costituzione mai utilizzato, o a far sospendere dal Tribunale costituzionale le cariche pubbliche catalane. E la Guardia Civil ha già perquisito stamperie e persino sedi di giornali alla ricerca delle famose schede e delle urne che il governo catalano dice di avere già preparate.

IN QUESTO CLIMA incandescente, domenica notte il presidente catalano, dopo aver detto che le urne «uniscono e non dividono» è arrivato a dichiarare che nessuno può sospenderlo dalle sue funzioni, a parte il Parlament catalano, «unica sede della sovranità del popolo catalano». Nello stesso momento in cui il vicepresidente Oriol Junqueras senza arrossire dichiarava che in Catalogna vige solo il diritto internazionale, che permetterebbe il diritto all’autodeterminazione, e che varrebbe, secondo Junqueras, più di qualsiasi altra legge o tribunale. Forti di queste argomentazioni, e di aver fatto approvare le due leggi simboliche impugnate dal governo centrale, i leader politici indipendentisti hanno partecipato alla concentrazione di Anc e Òmnium. Tirano consapevolmente la corda, nella speranza che Madrid reagisca in modo ancora più contundente di quanto non abbia fatto finora e che questo gli garantisca di guadagnare appoggi. Perché se è vero che il 70% dei catalani vuole votare, nonostante tutto gli indipendentisti ancora non arrivano alla metà: e tutti sanno che anche se si votasse, proclamare l’indipendenza (come prevede la legge annullata dal Tribunale costituzionale se i Sì superano i No) con alle spalle solo una minoranza di entusiasti non porterebbe da nessuna parte.

PABLO IGLESIAS E I COMUNI di Colau hanno celebrato a Santa Coloma de Gramanet un atto separato da quello indipendentista. La sindaca non ha voluto partecipare alla manifestazione «per preservare il suo ruolo» (anche se molti suoi assessori lo hanno fatto) ma ha detto chiaramente che, pur con l’intenzione di proteggere l’istituzione del comune e i funzionari, farà di tutto per far votare chi voglia farlo, e ha concluso dicendo che le minacce di Rajoy, che ha chiamato «demofobo», «non ci spaventano». Critiche anche a Puigdemont e ai suoi per aver organizzato una Diada che lascia fuori la metà dei catalani e ha chiesto che Convèrgencia smetta di dare lezioni, loro che hanno firmato le stesse leggi del Pp e che fino a poco fa «non sapevano manco cosa fosse la disobbedienza civile». Iglesias, chiamando Colau «la principale autorità etica in Catalogna», ha chiesto ancora una volta «un compromesso storico» per cacciare il Pp dal governo.

Intanto, alla lista di illustri appoggi internazionali al diritto di voto catalano (Camilleri e Fo firmarono nel 2014), si è aggiunto Juliane Assange, che ha twittato le sue critiche al governo spagnolo per la gestione della questione, con Wikileaks che ieri ha riunito tutti assieme i 129 dispacci americani sulla Catalogna già resi pubblici per celebrare la Diada.