Il 5 settembre 1946 si discute in assemblea Costituente, seconda sottocommissione, la relazione di Mortati sull’organizzazione costituzionale dello stato. Tra i punti focali della discussione i temi della governabilità e della stabilità, e in specie della opportunità di garantirle attraverso la scrittura di regole mirate, costituzionali e legislative. La sottocommissione approva l’ordine del giorno Perassi, favorevole alla scelta di una forma di governo parlamentare, evitando però le «degenerazioni del parlamentarismo». Interviene nel dibattito Giorgio Amendola (resoconto sommario).

«… Si è parlato del tentativo di dare alla nostra democrazia condizioni di stabilità con norme legislative. È evidente che una democrazia deve riuscire ad avere una sua stabilità, se vuole governare e realizzare il suo programma; ma, non è possibile ricercare questa stabilità in accorgimenti legislativi da inserire nella Costituzione. In realtà, questa instabilità, che è stata caratteristica di regimi democratici nel corso di questo secolo, ha radici nella situazione politica e sociale, non nella costituzione stessa … L’instabilità è stata determinata da fatti politici e sociali, legati all’intervento nella vita politica delle grandi forze popolari, che nel secolo scorso erano assenti. L’entrata di queste forze politiche, inquadrate nei partiti socialisti e nei sindacati, ha creato le condizioni delle crisi, caratterizzate dalla resistenza dei ceti interessati ed ostili a rinnovamenti politici e sociali … Oggi l’Italia attraversa una crisi analoga: è uscita dalla dittatura in condizioni tragiche; ha il problema del rinnovamento democratico in tutti i campi, ha bisogno di riforme profonde nella società, che, solo se attuate, potranno dare basi solide alla democrazia; ma vi è la resistenza interessata dei ceti che appoggiavano ieri il fascismo e che sarebbero colpiti da queste riforme … Oggi la disciplina, la stabilità è data dalla coscienza politica, affidata all’azione dei partiti politici. Quindi, regime parlamentare il più aperto possibile, perché la situazione è fluida ed è bene che si consentano adeguamenti successivi. Tanto meglio se gli adeguamenti si possono fare senza crisi; ma, se crisi ci devono essere, è meglio siano crisi di adeguamenti successivi, per evitare rotture più profonde. Si vogliono porre delle dighe a queste forze popolari che avanzano? Quando la maggioranza della sottocommissione si sia pronunziata per la repubblica parlamentare, egli seguirà gli sforzi dei colleghi per assicurare la stabilità; ma pensa che la maggiore stabilità possa essere assicurata da un regime parlamentare che permetta l’adeguamento della situazione governativa allo sviluppo della situazione politica del paese, in modo da evitare quei contrasti tra la situazione politica del paese e la situazione politica parlamentare governativa, che sono causa delle crisi che pongono in pericolo la struttura dello stato».

Sono passati più di 60 anni dalle parole di Amendola. Ma ora come allora instabilità e ingovernabilità hanno radici nella politica, nei contrasti reali di interessi, nelle condizioni materiali di vita, nella incapacità di dare risposta a domande e bisogni pressanti, individuali e collettivi. Ora come allora la domanda è se sia utile cercare governabilità e stabilità in una rigida ingessatura di politica e istituzioni, ovvero, al contrario, aprendo le istituzioni alla più ampia rappresentatività e favorendo la corrispondenza agli equilibri politici reali. Può mai essere artificiosamente reso stabile e governabile un paese in cui si ampliano inarrestabilmente povertà e disoccupazione, aumentano le diseguaglianze, muoiono le speranze delle generazioni future? Può mai bastare a renderlo davvero stabile e governabile la riscrittura delle regole costituzionali o elettorali allo scopo di generare fittizie maggioranze numeriche nelle sedi istituzionali, senza riscontro nel consenso reale dei cittadini elettori? Queste sono domande ineludibili, e la risposta è certamente negativa. Bene lo sapeva Giorgio Amendola. E noi?