«Intronando l’universo con la possanza della mia voce / cammino – bello, / ventiduenne». Così scriveva Vladimir Majakovskij nel 1915, l’anno dell’incontro con Lilja Brik, il grande amore della sua vita. La conosce nel mese di luglio, insieme al marito Osip Brik, «una data felicissima», annota nella sua autobiografia e a lei dedicherà poemi (La nuvola in calzoni, Di questo, Il flauto di vertebre), poesie (Lilicka, Di tutto), lettere d’amore, disegni.

«La musa dell’avanguardia russa» concesse nel 1977 una lunga intervista al giornalista Carlo Benedetti, per molti anni corrispondente dell’Unità da Mosca. Pubblicata l’anno successivo, quasi in concomitanza con il suicidio di Lili Brik, nella collana «Interventi» degli Editori Riuniti, l’intervista viene ora ripubblicata in occasione del centenario della Rivoluzione di Ottobre (Lili Brik. Con Majakovskij. Intervista di Carlo Benedetti, prefazione di Lucetta Negarville, edizioni Bordeaux). Un’operazione meritevole perché ripropone in tutta la sua concretezza il non facile rapporto fra poesia e rivoluzione, fra quest’ultima e gli intellettuali.

UN TRAVAGLIATO rapporto che sul piano personale culminò in una serie di suicidi, fra cui anche quello di Majakovskij stesso, nel 1930. Il pregio del libro consiste non solo nel ricreare con notevole precisione l’ambiente storico letterario in cui si dispiegò la vulcanica attività del poeta rivoluzionario ma soprattutto nel seguirne l’intensa attività di «ricerche formali» da La nuvola in calzoni a Flauto di vertebre a Di questo nella poesia, a Incatenata dal film e La signorina e il teppista (tratto dal racconto di Edmondo De Amicis La maestrina degli operai) nella cinematografia, fino a La cimice e Mistero buffo nel teatro.

Sorella di Elsa Triolet che, emigrata in Francia, divenne scrittrice, vinse un premio Goncourt e sposò Louis Aragon, l’affascinante Lili Brik intrecciò il suo destino con quello di molti rappresentanti dell’arte e della letteratura del 900, i poeti Majakovskij e Chlebnikov, i critici letterari Viktor Šklovskij e Roman Jakobson, la ballerína Maja Pliseckaja, il pittore Fernand Léger, tutti assidui frequentatori della sua casa moscovita.

ALTRETTANTO INTENSA fu la vita sentimentale di questa «femme fatale» che, al primo marito, il critico formalista Osip Brik, cui fu sempre legatissima e con cui condusse insieme a Majakovskij un curioso «ménage à trois», aggiunse l’ufficiale Vitalij Primakov e il biografo di Majakovskij, Vasilij Katanjan, suo compagno fino alla fine dei suoi giorni.
Nell’intervista concessa a Benedetti, Lili Brik riconferma certe simpatie già note di Majakovskij per poeti come Nekrasov e Blok e segnala «una comunanza di sentimenti« che può sembrare stupefacente fra il poeta della rivoluzione e Dostoevskij, bollato dalla critica sovietica come «arcaico e reazionario».

Nella conversazione con il giornalista vengono evocati molti momenti drammatici e umani che toccano relazioni pubbliche e private, anzi spesso il pubblico diventa privato e viceversa. Mentre risulta particolarmente illuminante per quel che riguarda i rapporti di Majakovskij con gli esponenti dell’avanguardia russa, l’intervista appare assai contraddittoria nell’ultima parte, quando tratta i motivi del suicidio del poeta che, secondo Brik, sarebbero quasi esclusivamente di natura personale e privata: «Volodja (V. M.) non faceva che parlare di suicidio. Era un’ossessione (…). Lui ripeteva, testardo di non voler conoscere la sua e la mia vecchiaia».
Una versione questa che non tiene conto dei numerosi interventi censori di cui fu oggetto il poeta negli ultimi anni della sua vita con un crescendo spaventoso da parte di burocrati ottusi, come peraltro viene raccontato.

LILI BRIK ha attraversato il Novecento portando con sé le sue contraddizioni. Nel periodo della perestrojka, all’apertura degli archivi in Russia, si avrà infatti la conferma delle voci che giravano già negli anni 20 di una possibile vicinanza dei coniugi Brik alla polizia politica e ci si renderà conto che, come scrisse Majakovskij a proposito del suicidio del poeta Sergej Esenin nel 1925, «in questa vita non è difficile morire. / Vivere è di gran lunga più difficile».