Non chiamatele cavie umane, è un esperimento scientifico dai rischi minimi e dai vantaggi incalcolabili, almeno così si calcola (spera?). Tra circa un mese in Gran Bretagna comincerà l’Human Challenge Trial, che con un nome da raccolta fondi di beneficenza online definisce la prima sperimentazione medica umana al mondo sul Covid-19.

Lo studio – che ha ricevuto ieri il nulla osta etico da parte della commissione preposta ed è finanziato dal governo con 33.6 miliardi di sterline (circa 39 miliardi di euro) – è aperto a volontari di età compresa tra i 18 e i trent’anni di età, di costituzione sana e robusta e che non abbiano mai contratto il virus. Che verrà loro inoculato per via nasale all’inizio di una quarantena ospedaliera di due settimane in cui saranno monitorati tutto il giorno, tutti i giorni attraverso prelievi di sangue e tamponi. Lo scopo è comprendere meglio come il virus si comporta nell’organismo e, in particolare, l’individuazione della sua quantità minima necessaria perché abbia luogo l’infezione, come anche il monitoraggio della risposta immunitaria.

Tutto ciò aiuterebbe ad accelerare la scoperta dei vaccini di seconda generazione resa inevitabile dal continuo mutare del virus anche se, per questioni di sicurezza, i volontari non riceveranno che la variante diffusasi nel paese la scorsa estate – e alla quale i soggetti giovani si erano rivelati particolarmente resistenti. Né si esclude che le varianti successive possano essere similmente “prefabbricate” in laboratorio e in un secondo momento: gli scienziati sperano di poter esporre al virus soggetti che abbiano già ricevuto i vaccini, anche se non hanno ancora richiesto l’approvazione da parte della Health Research Authority.

Per poter sortire gli effetti sperati, questa sperimentazione – di cui si sapeva già dalla fine dell’estate, e che era stata raccomandata da vari ricercatori, tra cui quindici premi Nobel – deve partire adesso: prima, cioè, che l’avanzamento dell’immunizzazione nel paese la rallenti e la complichi. Solo così ci si può garantire l’indiscutibile vantaggio di operare ed effettuare rilevamenti in un ambiente controllato piuttosto che nel mondo cosiddetto reale.

Simili esperimenti sono stati condotti altre volte nella lotta umana contro gravi malattie infettive come il colera, la febbre tifoide e l’influenza, anche se allora i volontari erano garantiti da farmaci che ne avrebbero oggettivamente protetto la salute. Fino a qualche mese fa, questa condizione con il Covid-19 non era data ma ora, dopo la prima infornata di vaccini, la situazione è considerata – al netto del rapporto fra rischi individuali e vantaggi per la salute pubblica – sufficientemente sicura. Anche se le perplessità di usare uomini anziché animali in un contesto ovviamente così rischioso rimangono. Come anche con la sintesi e somministrazione dei vaccini: si corre augurandosi che nel medio periodo non ci si scapicolli. Per la loro coraggiosa partecipazione, i volontari riceveranno un compenso di 4.500 sterline (circa 5.200 euro).

Mentre varca la soglia dei quindici milioni di persone ad aver ricevuto il primo vaccino, il Regno Unito continua dunque a inanellare primati: dopo aver approvato per primo il vaccino Pfizer BioNTech, ora questa sperimentazione, effettuata in sinergia fra la governativa Vaccines Taskforce, l’Imperial College, il Royal Free London Nhs Foundation Trust e l’azienda farmaceutica irlandese hVivo. Per meschino che sia doverlo notare, in piena era di vaccinazionalismi è difficile immaginare che il governo in carica non se ne riempia la bocca nei mesi a venire.