C’è sempre un grande sospetto attorno ai libri dei giornalisti, spesso l’impressione è che si tratti di un’ambizione smarrita da recuperare o peggio ancora fuori misura. Il lavoro giornalistico è a tal punto totalizzante da esaurire ogni altra vena anche quando questa poteva ancora produrre qualcosa d’interessante.

PEGGIO ANCORA è quando un giornalista decide di valicare il proprio ambito e raggiungere magari quello della narrativa o del romanzesco che è proprio il gesto che compie Giorgio Terruzzi con Atlante sentimentale (Rizzoli, pp. 324 pagine, euro 17,00). Solo che Giorgio Terruzzi è un giornalista che appartiene ad una scuola, ad una razza forse direbbe lui in via d’estinzione, quella che è capace, prima ancora che di scrivere di imporre una voce e un tono. Una scuola di giornalismo fatta da donne e uomini estremamente competenti, spesso specializzati – Terruzzi è noto ai più come giornalista sportivo, di motori in particolare -, ma che sono in grado di dare forma realmente a mondi infiniti grazie a quel tocco raro e preciso che trasforma la materia molte volte grezza e non poco cinica in un’epica visibile e afferrabile fatta di emozioni e sentimenti.

Il libro ha così la forma di un viaggio nello spazio e nella memoria di un autore che non si spaventa di fronte alla facilità del gesto che è solo segno di semplicità e onestà e che mette di fronte agli occhi del lettore una massa di ricordi e narrazioni che rappresentano sia la porta d’ingresso che la corazza di uno scrittore capace ancora oggi, in questa contemporaneità sterilizzata di dare sostanza a quella cosa troppo spesso rimossa e schiacciata tra paura e sicurezza, tra precarietà e il desiderio massimo di un comodo divano. Quella cosa è l’avventura e il desiderio di poterne avere accesso.

ATLANTE SENTIMENTALE è un omaggio alla dea Ecate, all’oscurità e agli incroci che la vita offre. Un viaggio lungo l’Italia del tempo che fu e che oltre il buio restituisce un tempo nuovo da riconoscere e che ancora ci può appartenere. Non contano qui i record o le performance qui conta la capacità di sentire anche nell’accenno di uno sguardo come nell’incontro fugace il brivido, quella paura sana per il rischio di qualcosa che potrebbe solo fare bene e restituire la fatica degli anni spesi per arrivarci. Da Carlo Levi a Hugo Pratt, da Milano a Venezia, dalla musica che scuote l’anima, a chi per sport mette in gioco tutto perché sta nei dettagli il sapore del rischio, quello vero e terribile.

Atlante sentimentale è una narrazione d’avventura a tratti nostalgica che però non accetta il ritratto banale di un’Italia fatta solo di eclettismo e genialità individuali, ma che vede in quegli individui – comunque rari – il punto di partenza di un possibile senso comune. La sintesi di una comunità riconoscibile, piena di difetti anche terribili, ma che oltre la triste miseria di quei limiti deve tornare a misurarsi culturalmente e anche politicamente: non per stupire, non per vincere, ma per emozionare e dare un senso a tutto questo viaggiare.