Tentiamo un estremo appello alla ragionevolezza politica, alla vigilia dell’approvazione della legge elettorale Rosato. D’accordo, sappiamo bene che invocare una riforma neutrale è irrealistico: ma allora, assumiamo fino in fondo un atteggiamento cinico. E allora la domanda da porsi è questa: a chi conviene veramente questo sistema elettorale? Alcuni improvvidi sostenitori di questa riforma dovrebbero riflettere su un dato: la storia delle riforme elettorali mostra molti casi in cui i calcoli molto (troppo) furbi dei promotori si sono rivelati infondati. Gli effetti imprevisti, e gli effetti perversi, sono molto frequenti. O, per dirla con la saggezza popolare: il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi.

È BENE APPROFONDIRE alcune questioni già emerse dal dibattito di queste settimane. Non occorre ribadire un dato oramai ben chiaro: questo sistema è una manna per il centrodestra. Permette a ciascuna forza politica di correre per proprio conto, con il proprio simbolo, contrattando i candidati comuni nei collegi uninominali, massimizzando il risultato delle urne. Per il Pd le cose sono molto più confuse, e nasce il sospetto che possa ben applicarsi una delle «leggi fondamentali della stupidità umana», così come l’ha codificata, in un aureo libretto, lo storico Carlo Maria Cipolla: «Una persona è stupida se causa un danno a un’altra persona o ad un gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo un danno».

Alla fine dei salmi, sembra proprio che la logica che ha guidato il Pd nell’abbracciare questo modello sia la convinzione (molto aleatoria) che, da un lato, si possa spuntare qualche seggio in più rispetto al proporzionale puro del Consultellum e, che dall’altro lato, si possa invocare il «voto utile», prosciugando il possibile bacino elettorale di una lista alla propria sinistra. Ma, sempre per restare alla saggezza popolare, il diavolo sta nei dettagli. Questo calcolo si fonda su un presupposto tutt’altro che pacifico: che esista una grande massa di elettori in grado di fare una valutazione sofisticata e «strategica» sulle proprie scelte elettorali. Ma, come spiega bene una grande mole di letteratura teorica ed empirica sui sistemi elettorali, gli elettori adottano per lo più delle «scorciatoie cognitive»: ossia, guardano soprattutto ai simboli dei partiti, si fanno guidare da alcuni essenziali fattori di identificazione politica. E la stessa struttura della scheda prevista dal nuovo sistema si fonda su una forte visibilità dei simboli. In più, la possibilità di pluri-candidature sarà un fattore che sottrarrà molto pathos alla competizione uninominale.

MA POI SI POSSONO aggiungere alcune valutazioni politiche: se il Pd avesse voluto mostrare veramente di avere a cuore il famoso «argine» da opporre alla destra e al M5s, e avesse voluto lanciare un ponte verso gli interlocutori politici più disponibili presenti alla sua sinistra, aveva uno strumento molto semplice, l’introduzione del «voto disgiunto». Nei collegi «marginali», l’appello al voto utile avrebbe avuto una ben maggiore credibilità. No, nulla di tutto questo. Adottare questo modello elettorale ha dunque un solo significato politico: scatenare la guerra a sinistra. Del resto, la lista unitaria della sinistra non ha molte alternative: presentare propri candidati in tutti i collegi uninominali, perché solo in questo modo può concorrere per i seggi proporzionali. E quindi, à la guerre comme à la guerre.
Peraltro, il discorso sul «voto utile» (per la quota modesta di elettori che si porranno il problema) è un’arma a doppio taglio, per il Pd: laddove, in alcune aree delle ex-regioni rosse, il vantaggio del Pd è rassicurante, potrà essere paradossalmente la lista della sinistra ad avvantaggiarsene; mentre, nelle molte aree del paese in cui il Pd parte decisamente battuto, potrebbe essere proprio quello al Pd il voto «inutile», e il vero «voto utile» quello dato alla lista di sinistra.

LA DINAMICA competitiva che si prefigura non lascia margini, non permette mezze misure. Anche coloro che si attardano ad invocare «l’unità» del centrosinistra non possono che prendere atto della scelta strategica compiuta dal Pd. E qualsiasi altro discorso passa oggi per una dura sconfitta del Pd. Anche per questo – oltre che per tanti altri motivi – una sola lista unitaria a sinistra è essenziale: per cacciare via lo stereotipo con cui il Pd cercherà di marchiare i concorrenti, il fantasma del «partitino» del 3%. Un programma condiviso e innovativo; una composizione delle liste che faccia appello a tutte le migliori risorse, «vecchie» e nuove; un atteggiamento aperto, non settario, capace di rivolgersi a quelle quote di elettorato democratico che vedono ancora nel Pd un possibile freno al successo della destra: sono questi i fattori su cui puntare, senza ulteriori indugi.
Insomma, un capolavoro politico, questa riforma elettorale. Si può ancora sperare in un qualche ravvedimento dell’ultima ora, magari mascherato da un casuale incidente parlamentare? Non sappiamo. Quos Deus perdere vult, dementat prius, recita un motto latino. Sembra proprio sia questo il caso.