L’impugnazione di una legge regionale fortemente voluta dal governatore leghista del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, è quasi il primo atto del Consiglio dei ministri numero uno del nuovo governo. C’è una ragione pratica: ieri era l’ultimo giorno utile a disposizione del governo centrale per sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta. La legge che il governo contesta è la legge regionale del Friuli numero 9 pubblicata il 10 agosto scorso e per l’impugnazione la Costituzione concede 60 giorni di tempo. Gli argomenti in base ai quali è stata decisa l’impugnazione sono vari, si va dalla sanità all’ambiente ai rapporti di lavoro del personale regionale all’immigrazione. In tutti i casi il governo centrale ritiene che sia stata violata la competenza statale esclusiva prevista dall’articolo 117 della Costituzione, un limite che vale anche per le regioni a statuto speciale come il Friuli Venezia Giulia.

Per i leghisti è un attimo individuare lo scandalo. Se per il governo«talune disposizioni in materia di immigrazione appaiono discriminatorie», per il presidente della regione (fino all’anno scorso capogruppo della Lega alla camera) «M5S e Pd sono già diventati il governo dell’immigrazione selvaggia». «Sono orgoglioso di dare fastidio a questi traditori – aggiunge Fedriga, in un crescendo salviniano – io non mollo, il Friuli non molla e andremo avanti ancora più decisi». Andranno, concretamente, a difendere le loro ragioni davanti alla Corte costituzionale. Ma intanto proprio Salvini si associa, parlando di «pessimo inizio» non «rispettoso dell’autonomia, degli enti locali, dei comuni, dei governatori, dei territori, degli italiani».

A sera il neo ministro del Pd per gli affari regionali Francesco Boccia conferma che l’impugnazione è stata «un atto dovuto», a causa della scadenza dei termini, e rivela come in extremis Fedriga stesso abbia scritto al governo, riconoscendo che la legge è scritta male e impegnandosi a fare le modifiche necessarie. «Quando la aggiusteranno noi ritireremo l’impugnazione di oggi», assicura Boccia, anche se la Corte è solita fissare in tempi stretti la discussione dei promovimenti del governo. Naturalmente non è un caso che lo scontro si accenda sull’immigrazione. Anche perché La Lega e Salvini fanno in Friuli un pezzo importante della loro campagna anti immigrati. E l’ex ministro dell’interno che è spesso in vacanza-comizio in regione le aveva tentate tutte per creare l’allarme su un’inesistente invasione ad est: pattuglie miste italo-slovene, pacchetti del Viminale ad hoc per il Friuli, barriere al confine orientale e iniezioni di storia Patria: «Tanti nonni hanno dato la vita sul Piave perché non passasse lo straniero». Tutti umori che hanno accompagnato le norme sull’immigrazione contenute nella legge regionale, già censurate prima dell’approvazione finale dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) in maniera anche più estesa rispetto alle osservazioni sollevate adesso dal governo.
In particolare, la legge regionale prevede che la regione finanzi con i suoi fondi il rimpatrio degli immigrati colpiti da provvedimento di espulsione, deviando a questo fine parte dei fondi destinati in precedenza all’inclusione degli immigrati.

«Soldi per i corsi di sci e cucito per gli immigrati irregolari», secondo Fedriga. Ma l’articolo 117 della Costituzione è molto chiaro nell’assegnare al solo governo nazionale la competenza sull’immigrazione e dunque sui rimpatri.
Il secondo punto sul quale si poggia l’impugnazione decisa ieri dal governo riguarda il mercato del lavoro e si ispira a una tendenza comune nelle regioni governate dal centrodestra, quella di riconoscere maggiori diritti ai bisognosi «statici» rispetto a quelli «mobili». Nel caso del Friuli, si prevede che gli incentivi occupazionali regionali «possono essere concessi esclusivamente a fronte di assunzioni, inserimenti o stabilizzazioni occupazionali riguardanti soggetti che, alla data della presentazione della domanda di incentivo, risultino residenti continuativamente sul territorio regionale da almeno cinque anni». Un’evidente discriminazione sul lavoro, vietata oltre che dalla Costituzione anche da convenzioni internazionali firmate dall’Italia. Tanto che il ministero del lavoro ancora in gestione Di Maio aveva inviato osservazioni alla regione. E durante il governo precedente gli uffici avevano preparato la delibera di impugnazione che ieri Boccia, appena arrivato, ha solo firmato. Prima che scadesse il tempo.