Molti hanno sottolineato la forza e l’importanza della scossa che viene dall’enciclica «Laudato si’» di Papa Francesco sui temi dell’ambiente e dei mutamenti climatici e, più in generale, sullo sviluppo umano. Una visione e una capacità di connettere temi e culture che sembra, francamente, mancare alla politica. A me interessa sottolineare che questa idea di economia a misura d’uomo, che sta in campo usando meno energia e meno materie prime, senza lasciare indietro nessuno – senza lo «scarto» – può parlare, come in parte già parla, italiano. Se guardiamo l’Italia con occhi meno pigri e distanti da quelli delle agenzie di rating, privi di lenti ideologiche aprioristiche.

Mentre la crisi sembra finalmente allentare la sua presa sul Paese, è ancora più importante avere un’idea di futuro. Non se ne può uscire allo stesso modo in cui siamo entrati. Alle spalle abbiamo i mali storici dell’Italia: il debito pubblico, le disuguaglianze sociali, la disoccupazione, l’illegalità, una burocrazia spesso opprimente, il Sud che perde contatto.

Se guardiamo avanti, invece, vediamo i nostri punti di forza: la bellezza, la qualità dei prodotti, i territori, la green economy, la cultura, la creatività. Questi elementi, parte integrante del Dna del nostro Paese, si evolvono in valore e nuova occupazione soprattutto quando incontrano tessuti sociali coesi e solidali. L’identità, le relazioni e i saperi delle nostre comunità danno vitalità all’economia «green» che ruota attorno alla valorizzazione e all’innovazione delle risorse territoriali. Lo stesso vale al contrario: queste filiere, a loro volta, stimolano coesione sociale e dinamicità.

La green economy, quindi, contribuisce a cambiare il modello di sviluppo in chiave sostenibile, difendendo al contempo ambiente e diritti, consumando sempre meno materie prime e meno energia e orientandosi verso modelli di economia circolare e sharing economy. È l’unica via per uscire dalla crisi e ci sembra la stessa strada tracciata da Papa Francesco con la sua enciclica che segna un punto di svolta epocale nella concezione del rapporto fra uomo, natura ed economia.

Non è pensabile far ripartire il Paese inseguendo i bassi salari e azzerando le tutele sociali. I numeri dicono esattamente il contrario.

Sono quei settori dove c’è qualità, di produzione e di prodotto, che mostrano segni di ripresa. Nel solo 2014 in Italia si sono avute 234mila assunzioni nei green jobs. Tra il 2011 e il 2014 la richiesta dei prodotti made in Italy è aumentata del 22% nel mondo. Siamo il quinto paese per surplus manifatturiero dietro a giganti come Germania, Cina, Giappone e Corea. Il sistema culturale «ci dà da mangiare», come dicono i dati del rapporto «Io Sono cultura» di Symbola e Unioncamere, con 84 miliardi di euro, il 5,8% dell’economia nazionale, che arrivano a 226,9 miliardi considerando l’intera filiera culturale.

Chi ha investito in creatività ha visto il proprio fatturato salire del 3,2% in un anno.

Possiamo dire che nei nostri paesaggi, tra i territori, nelle relazioni sociali, esiste una matrice di bellezza che feconda tutte le attività, dall’arte all’artigianato, alla manifattura evoluta. Ma non è una risorsa garantita per sempre, è un capitale umano e sociale su cui puntare per affrontare le sfide del futuro con proposte concrete e politiche attive.

Il nostro paese, forte anche del messaggio di Papa Bergoglio che parla della necessità di un «nuovo progetto comune» per l’uomo e per il pianeta, può giocare un ruolo da protagonista anche in vista della conferenza COP21 che si terrà a Parigi in autunno.

Contro la crisi ce la possiamo fare, ma l’Italia deve fare l’Italia.

* L’autore è presidente della commissione ambiente Camera Deputati