Per trovare un partito capace di raccogliere almeno 180mila voti alle regionali in Umbria – tanti ne ha presi la Lega domenica, contando quelli delle liste civiche della senatrice leghista e candidata presidente Donatella Tesei – bisogna tornare indietro di quasi quindici anni, al 3 aprile del 2005, all’Ulivo e alla «governatrice più amata dagli italiani», come Massimo D’Alema salutò Maria Rita Lorenzetti. A quei tempi la Lega alle regionali umbre nemmeno si presentava e alle politiche in regione (l’anno successivo, 2006) non raccoglieva più di quattromila voti, lo zero virgola. Storie di un’altra era politica e di un’altra Lega.

Anche limitando lo sguardo alla Lega sovranista di Matteo Salvini e quindi agli ultimi anni, e incrociando elezioni diverse, ci si trova davanti a una crescita impetuosa. Dalle regionali del 2015 a oggi il partito ha più che triplicato i voti assoluti (erano 49mila e c’erano 60mila votanti in meno). Crescendo sempre nei successivi appuntamenti elettorali: raddoppio dei voti tra il 2015 e il 2018 (dalle regionali alle politiche, con affluenza in salita), più 50% dei voti dal 2018 al 2019 (dalle politiche alle europee, con affluenza in discesa). E persino nei cinque mesi trascorsi dalle europee di maggio a oggi, la Lega – includendo il risultato delle civiche “leghiste” – ha rastrellato un altro 5% di voti assoluti (con affluenza in lieve calo).

Come consuetudine nel giorno successivo a quello di elezioni importanti, l’istituto Cattaneo ha fatto le sue analisi sul voto umbro e ha trovato oltre alle conferme del dominio leghista – primo partito nel 90% dei comuni della regione – anche «numerosi elementi di continuità con l’ultimo ciclo di elezioni regionali iniziato nel 2017». Il ciclo al principio del quale il centrodestra governava appena tre regioni mentre adesso ne governa dodici. E non è finita, visto che nel 2020 si andrà a votare in sei delle sette regioni che ancora controlla il centrosinistra (o forse in tutte e sette, se Zingaretti smettesse di resistere nel doppio incarico) oltre che in due regioni a guida centrodestra. Ce n’è abbastanza perché il Pd guardi con preoccupazione al voto in Emilia Romagna, a gennaio. E c’è anche una curiosità geografica che viene fuori dall’incrocio delle mappe del voto nei comuni, realizzate dallo stesso Cattaneo e dal sito Youtrend, e che può dire qualcosa in vista del voto nelle Marche e in Toscana: la Lega è più forte nelle zone di confine ad est dell’Umbria e meno forte in quelle a ovest.

La linea di tendenza è dunque quella di una ripresa forte del centrodestra, ma si tratta di un centrodestra completamente ribaltato. Nella sintesi del Cattaneo «nel 2015 il peso elettorale della componente leghista all’interno della coalizione era di poco più di un terzo (36,3%). Oggi, al contrario, la Lega controlla quasi i due terzi del voto dell’intera coalizione e, considerando anche Fratelli d’Italia, l’anima sovranista rappresenta l’80% dei consensi al centrodestra in Umbria». Non è un riequilibrio è una rivoluzione. Forza Italia è ormai ai margini con la metà dei voti assoluti rispetto al partito di Giorgia Meloni. Le prospettive autorizzano i pensieri più neri, perché liste schiettamente sovraniste che in Umbria hanno raggiunto da sole la maggioranza assoluta a livello nazionale possono oggi contare sui vantaggi della legge elettorale Rosatellum.

Meno pronunciato rispetto alla crescita della Lega, ma ugualmente costante negli anni, è il calo del partito Democratico. Solo il confronto con il voto europeo di cinque mesi fa, considerando anche la lista del candidato presidente Bianconi, consente ai dem di parlare di «tenuta»; allargando il confronto al centrosinistra si nota persino un lieve recupero. Domenica però non era in corsa il centrosinistra, bensì l’esperimento giallo-rosso composto da Pd, 5 Stelle e sinistra sul modello della coalizione di governo e senza i renziani. Esperimento che è il grande sconfitto di queste elezioni. Non c’è solo il crollo dei grillini che hanno segnato il peggior risultato in regione da quando esistono e hanno perso 110mila dei 141mila voti raccolti alle politiche del 2018 (confrontando elezioni omogenee, sono passati dai 51mila del 2015 ai 31mila di domenica ma con 60mila votanti in più). C’è anche l’analisi dei flussi, che sempre l’istituto Cattaneo ha compiuto sulla base dei voti nelle singole sezioni di Perugia e Terni. Il risultato è che quasi la metà di chi aveva votato 5 Stelle alle politiche, domenica ha preferito astenersi. E gli altri sono in maggioranza andati a votare per la Lega e in subordine per Fratelli d’Italia. Inesistente il passaggio di voti all’interno della coalizione giallo-rossa. Il grande attrattore, anche per gli elettori di Forza Italia, è il partito di Salvini. Mentre il Pd è in una condizione di «isolamento elettorale», sembra aver toccato il fondo ma non riesce a risalire. Conclusione: «L’elettorato 5 Stelle in prevalenza manifesta disorientamento e distacco. Nemmeno nel centrosinistra la nuova alleanza sembra aver suscitato entusiasmo».