Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, nel maggio scorso aveva fatto rumore dichiarando che «le soprintendenze frenano la transizione ecologica». Oggi l’ultimo rapporto dell’associazione, Scacco matto alle fonti rinnovabili, inserisce quella frase in un contesto più ampio: «Dal 2010 in Italia non si mette mano alle regole fondamentali per capire dove fare le rinnovabili sul territorio e questo è frutto della inadeguatezza delle istituzioni nazionali e regionali di fronte alla sfida mondiale più importante per il futuro dell’umanità, accanto a quella della lotta al Covid». Si riferisce alla lotta al cambiamento climatico.

Che cosa manca?

Servono nuove linee guida, un testo unico a livello nazionale che detti le regole da rispettare anche a livello regionale. Le istituzioni sono inadeguate a produrre una normativa nazionale che possa permettere di fare tante rinnovabili e bene su tutto il territorio nazionale, ma questa situazione è anche frutto delle pressioni che arrivano dai soggetti industriali che non beneficerebbero della diffusione della rinnovabili. Non esistono più negazionisti della crisi, ma ci sono ancora i grandi rallentatori della lotta alla crisi climatica, le aziende energetiche che lavorano sulle fonti fossili e da lì non si schiodano, e così cercano di convincere i governi a fare le cose con calma.

Nel rapporto citate una lettera incredibile di Confindustria, datata ottobre 2021.

La richiesta di una moratoria sui nuovi impianti. È evidente: se noi decuplichiamo la velocità di installazione delle rinnovabili ogni anno, come dobbiamo fare, in breve tempo il consumo di gas calerebbe e per Eni, Edison, Sorgenia e tutte le grandi aziende che hanno investito sugli impianti che portano gas in Italia o che usano gas per produrre elettricità i profitti si ridurrebbero. Ma c’è anche altro: il ministro Franceschini durante il governo Gentiloni approvò il Decreto del presidente della Repubblica sulle autorizzazioni paesaggistiche semplificate per le rinnovabili, che non permette il fotovoltaico integrato sulle coperture dei centri storici, e dopo quattro anni siamo fermi lì. Una norma inadeguata, che non rende possibile installare i pannelli su superfici importanti e rischia di far mettere spianate di silicio a terra. Chi si oppone, cerchi l’impianto sulla Sala Nervi, in Vaticano, visibile dalla cupola di San Pietro.

Un altro collo di bottiglia è Terna, il gestore della rete elettriche. Perché?

Una volta attraversato con successo l’iter autorizzativo, ne inizia un altro, per l’immissione dell’energia in rete. Una situazione che si scontra con i problemi relativi ad alcune dorsali, che devono essere oggetto di ammodernamento, ampliamento. Per chi vuole investire, si tratta di colli di bottiglia, una situazione solo italiana. Non a caso, le grandi aziende energetiche investono sull’eolico in Grecia o in Spagna, perché i progetti vengono autorizzati velocemente. Quello che altrove avviene in 1 anno, da noi accade in 5. A Terna chiediamo di realizzare elettrodotti, come il Tirrenian Link, su cui ci siamo espressi positivamente.

Tra i venti progetti bloccati che raccontate, molti riguardano l’eolico. Perché questa tecnologia è così osteggiata?

C’è un’operazione culturale da fare, che investe i cittadini e che le associazioni dovrebbero essere le prime a praticare, anche se riconosco l’impegno solo di Wwf, Greenpeace e noi, mentre il resto del mondo ambientalista è ancora su posizioni di retroguardia. Dobbiamo far capire che le rinnovabili sono belle, che si devono vedere, che l’eolico galeggiante non deve essere sostitutivo di quello sotto costa, perché gli impianti vanno fatti dove c’è vento. Perché opporsi alle pale, se sono assuefatti alla vista delle piattaforma petrolifere che stanno ovunque, dall’Adriatico alla Sicilia? C’è un’abitudine al brutto che non si vede più e la tendenza a considerare quello che viene aggiunto come un problema per il paesaggio. Se facciamo un impianto eolico davanti a Brindisi, in vent’anni possiamo abbattere le tre ciminiere che campeggiano sulla città. Evidenti e inquinanti.