Se a gennaio era solo qualche persona di origine asiatica a indossare le mascherine nelle nostre città, soprattutto come segnale di impegno civico, oggi il mondo occidentale, Europa e Stati Uniti in testa, sono immersi nel dibattito: si devono imporre le mascherine a tutta la popolazione? Finora, il messaggio univoco delle autorità sanitarie era: non servono a nulla, sono indicate solo per le persone malate (per evitare che diffondano il virus con starnuti e tosse), e certamente per il personale sanitario (a stretto contatto coi malati).

Siccome poi tutti i paesi del mondo stanno vivendo una crisi di approvvigionamento di questi strumenti di prevenzione sanitaria, la consegna era: non comprate le mascherine che servono invece a chi lavora a stretto contatto coi malati ogni giorno.

E però, proprio come in molti paesi asiatici, la Repubblica ceca e la Slovacchia hanno già imposto l’obbligo di indossarne una se si esce da casa, e in Austria è obbligatorio per accedere al supermercato. L’idea di imporne l’uso generalizzato comincia a essere accarezzata da tutti i governi in vista della graduale ripresa delle attività economiche. Come mai questo cambio radicale di strategia?

Venerdì uno dei principali organismi di salute pubblica mondiale, il Cdc statunitense (Center for Disease Control and Prevention) ha cambiato la sua politica: ora raccomanda di indossare una mascherina di stoffa quando è difficile mantenere le misure di distanziamento sociale. Una mascherina «faidate» che un giovane soldato illustra come costruirsi da soli con magliette o asciugamani.

Lo stesso giorno, Nature Medicine ha pubblicato un articolo in cui si dimostra che le mascherine chirurgiche sono efficaci nel ridurre i contagi per la comune influenza stagionale e per altri tipi di coronavirus (simili al Covid19). Certo, le mascherine faidate sono meno efficienti di quelle tradizionali, ma sono meglio di niente: un recente studio ha dimostrato che se una mascherina chirurgica filtra l’89% di particelle virali, una di stoffa (un asciugamano) ne ferma il 72% e una di tela (maglietta) il 50%.

La comunità scientifica sta studiando questo nuovo virus a ritmo forsennato, e gli esperti di politiche sanitarie sono costretti a elaborare proposte in assenza di dati solidi e di evidenze scientifiche granitiche.

La questione centrale è se il virus si trasmette per via aerea o no. Finora era chiaro che un meccanismo di contagio era direttamente attraverso le goccioline di starnuti o tosse emesse da una persona infetta, o indirettamente toccando una superficie su cui queste goccioline si fossero depositate, per poi toccarsi bocca, naso o occhi. Ma ora alcune ricerche cominciano a ipotizzare quello che finora era stato scartato, e cioè che il virus potrebbe anche rimanere sospeso nell’aria, in particelle assai più piccole, dette “aerosol”.

Ora, la distinzione potrebbe sembrare accademica (e lo è), ma la differenza è la stessa che intercorre fra evitare gli starnuti e la tosse di una persona infetta, o non poterci neppure parlare. Se a questo si aggiunge il fatto che gli ultimi studi mettono in evidenza che la maggior parte dei contagi avviene quando la persona non ha ancora sviluppato i sintomi o dalle persone asintomatiche è chiaro che la situazione diventa spinosa.

Certo, non c’è ancora la certezza che i virus rimangano sospesi nell’aria, né per quanto tempo, né (soprattutto) quante particelle di virus sono necessarie perché il contagio avvenga. Camminare per strada non dovrebbe rappresentare un pericolo, ma non è da escludere che spazi chiusi o con alta concentrazione di persone potrebbero esserlo.

Con la condizione di imparare a indossarle e a toglierle (non è semplice farlo senza vanificarne l’uso), di mantenere il distanziamento sociale e l’igiene delle mani e soprattutto di vincere la falsa sicurezza psicologica che potrebbero dare, sembra esserci un consenso: presto anche noi occidentali andremo in giro con la faccia coperta.